Meno debito, meno spesa pubblica e meno tasse, ma anche più pensioni, più investimenti e più reddito. Tutto insieme. Anche se è evidente che ogni annuncio è in contrasto con gli altri. Basta sorvolare sui costi, non quantificare, omettere i dettagli e il gioco è fatto. I programmi elettorali dei tre principali schieramenti “restano pieni di contraddizioni e affermazioni vaghe”, sintetizza su La Stampa l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Lunedì il suo Osservatorio sui conti pubblici, lanciato a novembre all’università Cattolica di Milano, ha diffuso le analisi delle proposte di centrodestra, Pd e Movimento 5 Stelle in vista del voto del 4 marzo. Dalla flat tax al reddito di cittadinanza passando per gli assegni mensili per i figli a carico, ogni forza ha il suo cavallo di battaglia. Ma c’è un minimo comune denominatore: tutti i programmi, che costano in totale quasi 300 miliardi di euro, se realizzati produrrebbero un aumento del rapporto debito/pil. Che a fine legislatura passerebbe dal 131,6% di fine 2017 al 135,8% in caso di realizzazione del programma di centrodestra, al 134,8% se fosse messo in pratica quello del Pd e addirittura al 138,4% con le misure volute dall’M5s. Il contrario rispetto all’intenzione dichiarata dai leader.

L’impressione, secondo Cottarelli, è che “i programmi depositati al ministero dell’Interno non costituiscano piano concreti e coerenti di quello che i partiti intendano effettivamente fare una volta al governo”. E “mi sembra che questa volta si sia andati oltre non solo quello che è tollerato in altri paesi, ma anche alla tradizione elettorale italiana”. Tanto che, ammette l’economista ed ex direttore esecutivo presso il Fondo monetario internazionale, “verrebbe voglia di non andare a votare”.

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