Tre anni dopo i tweet di giubilo di Matteo Renzi, la situazione delle acciaierie di Piombino precipita definitivamente. Il rilancio dell’ex Lucchini non avverrà per mano dell’algerino Issad Rebrab. È stata un presa in giro, come la definisce il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Tanto che il sindaco della città in provincia di Livorno, Massimo Giuliani, uno che in questi anni di passione ha sostenuto i circa 2mila operai dormendoci anche insieme durante l’occupazione del Comune, lo dice senza giri parole: “Constato che evidentemente il ministro Calenda ha preso atto che non ci sono ulteriori fatti o documenti che facciano ritenere il piano industriale di Aferpi, attendibile, verosimile e fattibile”.

Lo scenario era chiaro da più di un anno, ma solo ora il governo ha deciso di agire dopo diversi temporeggiamenti e un addendum scaduto il 31 ottobre per provare a smuovere, senza risultati, il magnate algerino che tre anni fa si era assicurato le acciaierie. Lettere, appelli, incontri che il ministro ha scritto e organizzato per oltre un anno, come prima aveva fatto Federica Guidi. “Abbiamo dato mandato di partire con l’azione legale – dice ora il titolare del Mise – Siamo sempre alla solita storia, sono stanco di essere preso in giro”. L’annuncio, secco, sulla vertenza Aferpi è arrivato lunedì sera al termine dell’incontro, durato meno di un’ora, con i vertici di Cevital, la controllante di Aferpi, che questa volta non sono riusciti a convincere il governo.

“Avendo verificato che nessun progresso era stato fattivamente compiuto su tutti i fronti individuati dall’addendum, il ministro ha invitato l’amministrazione straordinaria a dare avvio alle procedure legali per la risoluzione del contratto con Aferpi-Cevital“, ha poi spiegato il Mise in una nota. Finisce qui, quindi, una vicenda che a Piombino, tre anni fa, qualcuno aveva definito come una possibile soluzione, una ripartenza per l’ex stabilimento della Lucchini. L’allora premier Renzi in primis aveva salutato con tweet entusiasti l’accordo, definito “strategico” e collegato ad altri “grandi successi” di quelle settimane. Nella sua narrazione, Piombino diventava “un pezzo di futuro dell’Italia”.

Il 9 dicembre 2014 gli algerini si erano presentati alla firma dell’accordo con Renzi a Palazzo Chigi dicendo che non intendevano solo mantenere il personale della Lucchini ma anche “aumentare l’occupazione nei prossimi quattro anni”. “Abbiamo – disse Rebrab in occasione della sigla dell’intesa – un grande progetto per Piombino”. Non solo la produzione di 2 milioni di tonnellate di acciaio, ma anche sviluppare due altri business: “una piattaforma logistica per tutto il Mediterraneo” e “lo sviluppo di un complesso agroalimentare”. Poi la perla: “Piombino sarà il centro mondiale dell’acciaio di qualità”. Il gigante però aveva i piedi d’argilla: secondo Rebrab, i suoi investimenti sono stati stoppati da un cambio di politica interna in Algeria. Adesso, è tutto da rifare.

Restano solo due strade percorribili, oltretutto dai tempi incerti. “A questo punto è importantissimo – ha aggiunto il sindaco Giuliani – che in questa ulteriore fase che si apre lo Stato sia presente su Piombino con strumenti ordinari, ma anche con strumenti straordinari utili per riaprirci verso altri investitori e altri progetti”. Come anticipato da ilfattoquotidiano.it a settembre, sul tavolo c’era – e c’è ancora, secondo fonti sindacali – la volontà degli indiani di Jindal di subentrare a Rebrab. Il colosso dell’acciaio cerca da tempo un cavallo di Troia per entrare nel mercato europeo. Ci aveva provato proprio nel 2014 con le ex Lucchini, ma il governo preferì l’offerta di Cevital che prometteva 400 milioni di investimenti pronti a lievitare fino a un miliardo; poi ha tentato di prendersi l’Ilva ma ha perso la battaglia contro ArcelorMittal e Gruppo Marcegaglia, nonostante i suoi piani industriale e ambientale fossero stati giudicati migliori dai tecnici. Adesso Jindal sarebbe accolta a braccia aperte a Piombino, ma Rebrab vuole cedere a un prezzo che gli indiani giudicano alto e la trattativa non decolla.

In questa situazione di stallo, il governo è pronto ad aprire la partita legale per togliere le acciaierie al magnate algerino. Se nel frattempo Aferpi dovesse dichiarare default, scatterebbe invece un nuovo commissariamento. Oppure il governo potrebbe agire per decreto e rimettere tutto in discussione con una nuova gara. In ogni caso, senza un accordo tra Aferpi e Jindal, i tempi saranno lunghi e il rilancio dell’ex Lucchini si allontanerebbe ulteriormente dopo una presa gira, Calenda dixit, durata tre anni. Nel frattempo le acciaierie sono praticamente ferme.

Articolo Successivo

Aeroporto di Firenze, perché Napolitano rigettò il ricorso sulla compatibilità ambientale

next