Tanto rumore per nulla? Stando alle dichiarazioni tranquillizzanti dei protagonisti sembrerebbe di sì: i grandi azionisti di Carige – Malacalza e Volpi – hanno formalizzato l’impegno a sottoscrivere l’aumento di capitale e i contrasti con le tre banche che assistono l’istituto ligure (Barclays, Credit Suisse e Deutsche Bank) sembrano in via di superamento, tanto che è prevista la costituzione del consorzio di garanzia entro il fine settimana. Se così fosse, il titolo Carige potrebbe essere riammesso a Piazza Affari già lunedì mattina e l’aumento di capitale da 560 milioni potrebbe partire nei giorni immediatamente successivi, non appena ricevuto il via libera Consob al prospetto informativo.

A tirare un sospiro di sollievo sono in molti, a partire dai piccoli azionisti della banca e dai titolari di obbligazioni che nelle ultime ore avevano temuto il peggio e cioè che Carige potesse finire in risoluzione, come già capitato nel novembre 2015 a Popolare Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, o che addirittura potesse essere applicato per la prima volta il “bail-in”, coinvolgendo nelle perdite anche i titolari di obbligazioni senior e i depositi bancari al di sopra dei 100mila euro. Timori per nulla infondati alla luce di quanto successo in questi anni di crisi bancarie e della difficile situazione della banca, che è da molto tempo sull’orlo del baratro. Ad alimentare le paure vi è anche un’oggettiva difficoltà a reperire capitali “privati” per un eventuale salvataggio (il sistema bancario si è già “svenato” con Atlante, con le quattro banche regionali e con altre crisi minori ed è a corto di munizioni) e la sensazione che Bruxelles e Francoforte questa volta non siano disposte a derogare alle regole e possano acconsentire all’impiego di fondi pubblici solo a patto che scatti il “bail-in”.

Il superamento dell’empasse tra Malacalza e le banche nell’immediato evita lo scoppio di una nuova crisi bancaria che avrebbe ripercussioni pesantissime non solo sulla Liguria, la sua economia e i suoi risparmi, ma che potrebbe facilmente innescare una reazione a catena su tanti altri focolai di crisi, basti pensare al Credito Valtellinese impegnato a fare un aumento di capitale che vale cinque volte la sua capitalizzazione di Borsa (il titolo ha perso oltre il 60% in pochi giorni), a istituti con le spalle ben più larghe e che però si trovano zavorrati da tanti problemi, primo fra tutti la questione dei crediti deteriorati. Basta guardare le quotazioni dei titoli bancari delle ultime sedute per rendersi conto che la situazione non è affatto mutata rispetto ai mesi scorsi e che le banche italiane, salvo poche eccezioni, non raccolgono alcuna fiducia da parte degli investitori. Anche il ritorno a Piazza Affari del Monte dei Paschi conferma che il salvataggio con i soldi dei contribuenti non ha sostanzialmente mutato le prospettive reddituali della banca, che continua a perdere soldi e ne fa perdere a noi: pochi mesi fa il Tesoro ha pagato 6,49 euro per azione ciò che oggi vale a stento 3,5 euro. La perdita potenziale si attesta intorno al 45%, ma è solo un dato provvisorio visto che il titolo continua a perdere terreno.

Nonostante il Pil in ripresa, la crisi del sistema bancario resta purtroppo un tema di strettissima attualità e, come si è visto in questi giorni, basta poco per mettere a nudo la debolezza del sistema e bruciare ciò che resta della capitalizzazione di molte banche quotate. La stessa Carige due anni fa valeva quasi dieci volte il valore attuale. Lo sa molto bene Vittorio Malacalza che all’epoca mise sul piatto 260 milioni di euro per acquistare la sua quota che oggi vale a malapena 26 milioni. Comunque sia, l’imprenditore genovese ha dato la propria disponibilità ad aumentare la sua quota e ha chiesto l’autorizzazione alla Banca d’Italia di salire fino al 28% dall’attuale 17,6%. Anche il petroliere Gabriele Volpi ha confermato di credere nella banca e si è impegnato a salire fino al 9,9% del capitale di Carige, mentre Coop Liguria e Aldo Spinelli sottoscriveranno pro quota l’aumento assicurando così un altro 3,5 per cento.

Complessivamente il nucleo dei soci stabili coprirà circa il 30% della richiesta di nuovi fondi e la scommessa per nulla scontata è che si riesca a trovare sul mercato il restante 70%: difficile che le banche del consorzio di garanzia accettino di coprire un inoptato di queste dimensioni (350 milioni circa) ed è prevedibile un forte pressing sui piccoli azionisti che hanno in mano oltre il 55% del capitale affinché sottoscrivano l’aumento. Sarà interessante vedere come si muoverà la Consob al riguardo: nel caso delle popolari venete erano state disposte misure molto particolari a tutela dei correntisti e dei piccoli azionisti per limitare i potenziali abusi. Il caso di Carige è diverso sotto vari profili, ma la sottoscrizione dell’aumento di capitale entro il 31 dicembre è conditio sine qua non per la stessa continuità aziendale dell’istituto e dunque il rischio di pressioni “improprie” è almeno altrettanto forte.

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