Televisione

Serie tv, confessioni di un “binge racer”: “Guardo anche 20 episodi in un giorno. La fine di una stagione? Sempre agrodolce”

Il confine tra amore e ossessione è labile. E abbandonare una storia fa male, quasi come troncare una relazione. Negli Usa, il centro reSTART Life cura la dipendenza dalle serie in streaming. Per l’industria, più episodi si guardano meglio è. L’unico limite è la resistenza umana

di Paolo Dimalio

“Riesco a vedere anche 20 episodi in un solo giorno, ho fatto tardi troppe volte per vedere le mie serie preferite”. Chris Trejo, da Los Angeles, è un binge racer. Se gli piace una storia, in un giorno finisce una stagione intera: “Guardo anche 20 episodi di seguito. Sono impaziente, lo ammetto. Ma i finali restano sempre in sospeso, e non mi piace lasciare le cose a metà”. Un tempo c’erano i Binge Watcher, quelli che divorano episodi come patatine, senza riuscire a smettere. Binge significa ‘abbuffata’, ma i racers sono l’evoluzione della specie, maratoneti delle serie.

Tra i suoi abbonati, Netflix conta 8,4 milioni di binge racers. I più vengono dal Canada; poi Usa, Danimarca, Finlandia e Norvegia. Brian Wright, vice presidente dei contenuti originali a Los Gatos, è soddisfatto: “Offriamo storie sempre più belle, le persone non riescono a smettere”. Le serie targate Netflix, come Narcos o House of Cards, stregano i fan di tutto il mondo. “Quando finisce un episodio parte il successivo, in automatico, senza chiederlo – dice Michela Cacciatore, fan e disegnatrice Disney -. I cataloghi online favoriscono le abbuffate”. Premere off, è facile. Ma abbandonare una storia fa male, quasi come troncare una relazione. Nel 2008, quando gli sceneggiatori televisivi scioperarono in America, la psicologa Emily Moyer-Guse studiò le reazioni del pubblico. Senza le loro serie preferite, alcuni lambirono la depressione, molti soffrirono come un lutto.

La fine di una stagione è sempre agrodolce – ammette Chris Trejo -. Dopo un’abbuffata sono soddisfatto, ma una parte di me è triste perché scatta l’attesa per la nuova stagione. Naturalmente, devo trovare qualcosa di nuovo e la binge race continua”. Internet, del resto, ha cancellato l’attesa. La tv concedeva un episodio a settimana. Netflix e i siti di streaming offrono il piatto ricco, l’intera stagione in un’unica portata. Difficile non ingozzarsi. Così si vince la gara sui social: “postare per primi qualcosa sulla serie preferita per molti è un punto di orgoglio – racconta Brian Wright -. Mi ricordano i seguaci di Star Wars ed Harry Potter, quando sopportano file infinite per comprare l’ultimo libro della saga. I nostri fan, l’affetto lo dimostrano così: amano così tanto le nostre storie che se ne abbuffano”.

Il confine tra amore e ossessione è labile. Negli Usa, il centro reSTART Life cura la dipendenza dalle serie in streaming. Per l’industria, più episodi si guardano meglio è. L’unico limite è la resistenza umana: ”Il nostro concorrente è il sonno, ed è un mare di tempo – ha chiarito il CEO Reed Hastings, ad aprile, presentando i dati del primo trimestre -. Pensateci: si rimane svegli fino a tardi, quando si guarda uno show che appassiona”. Se una storia entra nel cuore, il pubblico la divora e gli inserzionisti pagano di più. I fan sono fedeli, coinvolti, non perdono un dettaglio: è facile che ricordino il marchio degli sponsor.

Ai tempi della tv generalista, invece, lo scopo era conquistare il pubblico distratto dello zapping: trame facili e protagonisti senza chiaroscuri, digeribili per gli spettatori occasionali, molto più numerosi. Uno spot in prima serata, negli Usa, raggiungeva l’80% delle donne, secondo lo studioso del Mit Henry Jenkins. Ma nell’era di Internet e della tv multicanale, inseguire chi fa zapping è un suicidio. Perciò l’industria mira ai fan. Il trucco, per tenerli all’amo della curiosità, è scrivere storie complesse con personaggi ambigui. Lo studioso Jason Mittel la chiama “Complex tv”: tv complessa, ma di qualità. Come “The young pope” di Sorrentino, “True detective” di Nic Pizzolato o “Twin peaks” di David Lynch. Sbiadisce il confine tra cinema e tv, secondo il creatore di House of cards Beau Willimon: “sul piccolo schermo arrivano magnifiche storie sempre più cinematografiche”. Il rischio è che diventino una droga.

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