La svolta era già avvenuta due anni fa, nel corso delle elezioni regionali: il cedimento della tradizionale presa elettorale “rosso-antico” nel perimetro genovese, dopo 25 anni di stretto controllo del territorio da parte del city boss Claudio Burlando (nelle varie trasmigrazioni quale professional della politica sinistrese di potere, da piccista a blairiano). Difatti in città e provincia erano ormai i Cinquestelle a risultare il partito più votato, con un 30% dei suffragi. Nel frattempo il quadro regionale registrava l’inaspettata ascesa a governatore del giornalista Mediaset Giovanni Toti, che lasciava subito intravvedere il proprio intento di perseguire un disegno nazionale: candidarsi a grande federatore della Destra, quale sostituto generazionale dell’avvizzito Berlusconi. Dunque, il territorio come incubatore di strategie personalistiche, malamente dissimulate dalle tecniche comunicative. Ben poco contrastate da un Pd in balia dei furori della propria capogruppo – l’ex burlandiana di Spezia Raffaella te spiezzo in due Paita – che si aggira come un’Erinni per i corridoi della Regione in preda alle frustrazioni da mancata presidenza (e non riesce neppure a scalfire la maggioranza in carica, nonostante questa si regga sul voto determinante di un consigliere alfaniano); mentre la pattuglia grillina è rapidamente implosa tra bisticci e scissioni.

Si diceva: un quadro politico tra lo stallo e la decomposizione, mentre evaporavano antiche egemonie. Fenomeno di cui c’erano già state le avvisaglie nelle precedenti amministrative del 2012, quando divenne sindaco (avendo come kingmaker don Andrea Gallo, non nella sua performance migliore) l’arancione Marco Doria, vincitore nelle primarie su due dame piddine: la sindaco uscente Marta Vincenzi e la ministra con l’elmetto Roberta Pinotti. Prendeva così avvio un ciclo amministrativo afasico, con il Primo Cittadino barricato nel Palazzo Comunale a fronte di una pubblica opinione oscillante tra l’indifferenza e l’ostilità. La prima ragione determinante la non ricandidabilità di Doria. Che produsse uno scenario del tutto inaspettato: nessuno dell’establishment cittadino, tradizionalmente colluso con la politica sinistrese, dimostrava il minimo interesse per la carica. Settimane furono spese per trovare un candidato d’appeal, finché per disperazione si fece ricorso a Gianni Crivello, militante di lungo corso e assessore uscente, il quale aveva più volte dichiarato di non essere all’altezza della carica (“Sono un numero due”). Ma non seppe negarsi alle pressioni della nomenklatura, con in testa il redivivo Burlando.

Intanto anche nel campo totiano non erano rose e fiori: la sua candidata di bandiera, la giornalista Mediaset Ilaria Cavo, assessore regionale, venne stoppata dal socio di maggioranza Lega (ma qualcuno parla di un intervento dello stesso Berlusconi, per tagliare le unghie alle velleità nazionali dell’ex dipendente) e il candidato prescelto fu Marco Bucci: manager di azienda in house (Liguria Digitale), che quadra i conti grazie a un rapporto monopolistico con la Regione, e un passaggio negli States che fa tanto innovatore (in Kodak, l’azienda che sparì non avendo saputo innovare).

A fronte del simpatico Peppone-Crivello, l’austero manager Bucci appariva in pole position. Ma un’incredibile serie di dichiarazioni a casaccio, sue e soprattutto di Toti (gli impiegati regionali sono dei fannulloni e vanno deportati in insediamenti alla periferia di Genova; lo scivolone convenendo che gli immigrati sono “bestie”), ha fatto perdere tangibilmente consensi. Fieno in cascina per 5S? Non propriamente: gli scontri interni, culminati nell’estromissione della candidata scelta dal web Marika Cassimatis, con relativo linciaggio grillesco all’insegna del “fidatevi di me”, e lo scisma del capogruppo in Comune Paolo Putti (condannato per le sue simpatie pizzarottiane), hanno inferto un duro colpo al tesoretto di voti del 2015. Mentre l’attuale candidato ortodosso – il mite Luca Pirondini – appare in difficoltà nel recitare la parte assegnatagli di massacratore degli eretici.

Un mix che determina – a detta di molti – la più scadente campagna amministrativa a memoria di genovese; in quello che, con Palermo, è il test elettorale più importante dell’anno. Dove è presumibile che il vero vincitore sarà il non voto, previsto per oltre il 50% degli aventi diritto.

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