Pace in Colombia, percorso obbligato

L’ultimo quadrimestre del 2016 ha sancito la conclusione positiva del processo di pace tra governo colombiano e Farc, che pone fine a mezzo secolo di conflitto armato.
Tre le date cruciali: 24 agosto, Juan Santos, presidente della Colombia, e Rodrigo “Thimochenko” Londoño, leader Farc, firmano l’accordo all’Avana, davanti a Raul Castro e il Segretario generale delle Nazioni unite BanKi-moon; 2 ottobre, il referendum popolare sull’accordo di Cuba, richiesto dall’ex presidente Uribe e avallato da Santos, determina la vittoria dei “No” per uno scarto minimo, 50,24%. Decisivi i voti di Medellin, seconda città in ordine di grandezza. Non ha convinto la sincerità dei vertici guerriglieri, che sembrano mirare soprattutto all’ingresso del movimento all’interno del sistema politico. Tutto da rifare. Finalmente, il 24 novembre, di nuovo all’Avana, la firma definitiva, dopo la modifica di 56 articoli su 57, e l’accordo sul disarmo dei guerriglieri, alla presenza di osservatori Onu. Date.webloc

Nobel per la Pace al presidente della Colombia

Decisiva è stata la lungimiranza da parte sia di Santos, premiato con il Nobel per la pace, che di Uribe, ex presidente, leader dell’opposizione. Il presidente non era tenuto dalla Costituzione a promulgare una consultazione popolare dopo il primo accordo, ma il plebiscito ha dimostrato quanto questo non fosse condiviso da oltre metà della popolazione, il cui risentimento avrebbe compromesso la durata del medesimo. Uribe dal canto suo, dopo la vittoria, ha acconsentito a sedersi nuovamente allo stesso tavolo, una volta emendati i punti controversi, per chiudere la questione in maniera definitiva. Londoño, toltasi la mimetica, ha ragionato in maniera pragmatica, da politico puro.

Il narcotraffico, finiti i tempo d’oro con la morte di Pablo Escobar (1993) e lo scioglimento dei due cartelli principali, Cali e Medellin, si frantumò allora in miriadi di gruppi rivali fuori controllo. Contemporaneamente, la concorrenza nella produzione di cocaina di Perù e Bolivia, e il rafforzamento del Messico, che domina oggi la distribuzione regionale soprattutto oltreconfine con gli Usa, indebolì l’economia Farc, costretta ad abbassare il prezzo del suo indotto base. Oltretutto, non ha certo giovato la rivalità interna, sia dal punto di vista ideologico che di business, con l’altra fazione armata ELN (Ejército de Liberación Nacional) Entrambi continuatori della linea maoista percorsa da Sendero Luminoso in Perù, si contendono oggi un territorio sempre più ridotto, anche a livello di consenso popolare.

ELN continua, anche se sporadicamente, a compiere agguati e attentati, ma l’evolversi del Paese, che faticosamente sta uscendo dalla miseria degli anni passati, e nel 2016 ha registrato una crescita del Pib (Producto interno bruto, il nostro Pil) del 2,5%, potrebbe ridurre queste ultime frange armate a più miti consigli. A livello di welfare, la Colombia, pur non essendo certo un paese socialista, gode di un sistema di protezione sociale che cerca di tutelare i gruppi più vulnerabili. Basato su tre elementi-chiave, salute, pensione e infortuni sul lavoro, le coperture sono ripartite così: sanità e pensioni, trattenuta 8% in totale a carico del lavoratore e 20,5% del datore di lavoro. Riguardo agli infortuni, sono incombenza di quest’ultimo e oscillano, secondo il grado di rischio, da 0,5 al 9%. Non male, paragonato al liberismo estremo in Argentina, e al collasso brasiliano che ha portato a tagli netti, applicati nel post-Dilma, sui programmi di assistenza di Fome Zero e Bolsa Familia. Oltre al vertiginoso crollo venezuelano. Seguridad.webloc

Le vittime? Sono loro i veri eroi

Non ci sarebbe stato alcun accordo né prima, né soprattutto dopo la vittoria del fronte del “No”, senza la perseveranza e la ferrea volontà di chi avrebbe dovuto avere maggior risentimento nei confronti di Farc e derivati: le vittime di mezzo secolo di stragi e rappresaglie, persone che hanno perso, durante la guerra civile, familiari, casa e averi, ma hanno tenuto duro e fornito carburante alla ripresa delle trattative tra Santos e i gruppi guerriglieri.

Le donne, colpite dalla tragedia più di chiunque altro, hanno sfilato e promosso iniziative volte al completamento del processo di pace, opponendosi a quella parte contraria della cittadinanza, concentrata nelle grandi città, che, paradossalmente, ha subito meno danni dal conflitto. Difatti, le perdite più ingenti nella conta totale di 250.000 morti e 45.000 desaparecidos, si sono registrate nei centri rurali, in prima linea fin dal principio.

Sono circa sette milioni le vittime da indennizzare, un processo che è già iniziato, con il risarcimento di 700.000 persone. Soldi ricavati dal sequestro dei proventi derivati dal traffico di armi e droga, che proseguirà con le sanzioni economiche comminate alle parti in causa.

Rimangono le perplessità sullo smantellamento della struttura paramilitare, e soprattutto sul disarmo; la consegna delle armi, e la supervisione degli incaricati Onu, appare impresa assai ardua da portare a compimento, tenendo conto dello sterminato territorio colombiano, e dei confini labili con nazioni quali l’Ecuador, dove le frange dissidenti han trovato riparo, perpetrando la tratta di esseri umani.

(La foto è stata scattata dall’autore del testo)

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