Il recente tragico evento del bambino ghanese morto a seguito della circoncisione rituale ci colpisce profondamente: un evento cui mai avremmo voluto assistere, soprattutto in un paese che consideriamo “avanzato”. D’altra parte, al di là del dolore e dell’orrore, la vicenda ha un altro aspetto etico difficile, quello dei criteri di ammissibilità di una pratica medica attuata per motivi non medici. E’ questo un aspetto di fronte al quale è inevitabile sentirsi smarriti, ed è su questo che voglio provare a ragionare in questo post.

Dal punto di vista giuridico la circoncisione rituale maschile in Italia è ammessa, mentre quella femminile è vietata da una legge specifica, la 7/2006, che ne punisce i responsabili con la reclusione da 4 a 12 anni. Già questa è evidentemente una posizione di compromesso: il legislatore ha tirato una linea tra due atti concettualmente affini, ma di diversa gravità, ed ha stabilito un confine tra il lecito e l’illecito che ad un osservatore laico non può non apparire problematico.

Un aspetto delicato della distinzione tra lecito e illecito, tra molti altri, è questo: mentre la circoncisione femminile è una mutilazione grave (in alcune culture molto più che in altre) e quella maschile è una mutilazione lieve, in entrambe sussiste un rischio di complicanze, soprattutto infettive. Pertanto, se il legislatore ha distinto correttamente i due atti rispetto all’intenzione, ed all’effetto nei casi non seguiti da complicanze, egli non li ha distinti correttamente rispetto al rischio.

Il problema del rischio è connesso a quello della definizione “non medica” dell’atto rituale: la circoncisione medica è prevista come atto chirurgico indicato nella terapia di alcune malformazioni, e in questo caso rientra nei servizi offerti dal Servizio Sanitario Nazionale e deve essere praticata in strutture adeguate; ma non è considerata un atto medico se praticata per scopi rituali, come è stato ben spiegato nel corso di un convegno organizzato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, nel corso del quale il vicepresidente della FNOMCeO spiegato che: “La circoncisione rituale maschile è riconosciuta e ammessa dalla legge nell’ambito della libertà di culto per la religione ebraica, e per analogia alle popolazioni che professano l’Islam (nei diversi continenti) e alle popolazioni appartenenti ad altre religioni e tradizioni culturali (minoranze etniche africane). […] La circoncisione rituale dei neonati ebrei può essere eseguita non solo da medici, ma anche da altre persone, in genere ministri di culto, competenti e responsabili della corretta effettuazione, con rispetto scrupoloso dell’igiene e dell’asepsi, che garantiscano personalmente la continuità dell’assistenza…”. Chi garantisce che il ministro di culto sia competente? Che succede in caso di complicanza infettiva? Di fatto ciò che è accaduto al povero bimbo ghanese è “soltanto” che la persona che ha praticato l’operazione non era competente.

Se le minoranze religiose presenti nel paese non sono disposte a rinunciare alla circoncisione maschile, è ragionevole suggerire che il legislatore la definisca almeno un atto medico, da praticarsi, dietro pagamento di un piccolo rimborso allo Stato, soltanto all’interno di strutture mediche e ad opera di personale medico. Nulla impedirebbe alle minoranze religiose interessate, se lo desiderano, di riferirsi a correligionari che siano medici abilitati in Italia, o di richiedere la presenza temporanea di un ministro del loro culto.

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