Del tempo invidio la pazienza, la capacità di aspettare, l’inconsistenza della fretta. Tanto tutto passa per poi ritornare, niente va mai via veramente. Nel lavoro di cura costante e reciproco che è la psicoterapia, gli appunti di viaggio mentale sono una risorsa alla quale poter accedere nei momenti di bisogno ed è così che nasce quanto vado scrivendo, come frutto di un lavoro di attenzione verso l’altro e verso me stesso. Il tempo rimane il miglior terapeuta di sempre, purtroppo non ha ancora deciso di metter su dei corsi di formazione, dovesse mai farlo mi avrebbe sicuramente tra i suoi più impegnati e interessati partecipanti. Attendo speranzoso.
Essere in terapia consiste anche nel semplice parlare a orecchie che non attivino subito una bocca invadente; è indiscutibile che il tempo sia sprovvisto di labbra, ma a quanto pare non di denti con cui afferra, lacera, ma sa anche lasciar andare. Basta poco per cominciare a cambiare, non basta poco per cambiare, un primo passo nella giusta direzione non è mai l’intero percorso. C’è solo una cosa che l’uomo insegue con la stessa tenacia e speranza con cui insegue la sua soddisfazione ed è la sua insoddisfazione. La psicoterapia può essere una vera forma d’arte, non tutti possono essere artisti e ogni opera non si crea dall’oggi al domani e può non essere esente da errori, imperfezioni, irrequietudine. Dell’insoddisfazione sono figlie la ricerca e la creatività. A volte quel che vogliamo ottenere non si consegue come risultato, ma come punto di partenza.
Il terapeuta non solo facilita lo scrupoloso lavoro che fa il tempo, ma ha il compito di proporre delle visioni diverse delle cose, non di cambiarle, perché ad operare il vero cambiamento è sempre la persona ed è questo che la differenzia da un’opera d’arte, la capacità, da un certo momento in poi, di finire da sola il lavoro cominciato, l’artista e l’opera tendono a coincidere. Il prendersi cura di sé e degli altri investe la vita di ognuno, nasciamo, per lo più, da un atto di amore tra due persone, a farci crescere non sarà solo l’affetto però, ma la cura che, generata da esso, si ritaglierà subito un suo ruolo, rivendicando una sua indipendenza. Dire amare a sé stessi è dir-amare parti di sé in ogni dove e in ogni quando.