Donne

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: le storie di Palmina, Alenya, Luciana e Chiara, che hanno pagato più dei colpevoli

Nel 1981 Palmina aveva 14 anni: fu bruciata viva perché non voleva prostituirsi. Nessuna condanna. Nel 2014 Maurizio Falcioni pestò a sangue la sua fidanzatina Chiara, appena maggiorenne: 20 anni di carcere, poi ridotti a 16. In mezzo gli assassinii di Alenya Bortolotto, Luciana Biggi e Maria Antonietta Multari, queste ultime due uccise da chi non era stato fermato dopo il primo omicidio. E in 35 anni anni in Italia poco è cambiato a tutela delle vittime

di Luisiana Gaita

Le storie di Palmina, Alenya, Luciana, Maria Antonietta e Chiara per non dimenticare. Perché contro la violenza sulle donne le leggi ci sono, ma le tutele ancora no. Lo dice l’Onu che nel IV rapporto del comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali presentato di recente manifesta le sue preoccupazioni sui ritardi italiani. La rivoluzione culturale non si è ancora compiuta, la prova è nei numeri e nelle violenze che quotidianamente si consumano tra le mura di casa. Dagli anni Ottanta a oggi è accaduto di tutto. In Italia l’ultima frontiera legislativa è rappresentata dalla Legge 119 del 15 ottobre 2013, la cosiddetta norma sul femminicidio. Eppure i recenti fatti di cronaca indicano che c’è ancora molto da fare.

IL RICHIAMO DELL’ONU ALL’ITALIA – Secondo i dati dell’Istat sono 6 milioni e 788mila le donne che hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Tre anni fa, a Ginevra, nel corso della 20° Sessione ordinaria del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, l’Onu aveva già ammonito l’Italia. I ritardi più gravi sul fronte della prevenzione, della protezione delle vittime e della punizione dei colpevoli. Praticamente i tre pilastri della Convenzione di Istanbul. Fu Rashida Manjoo, ex commissario parlamentare della Commissione sulla parità di genere in Sud Africa e relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, a chiedere che l’Italia si impegnasse di più per eliminare “gli atteggiamenti stereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia, nella società e nell’ambiente di lavoro”. A distanza di tre anni, nonostante la norma del 2013 e la ratifica della Convenzione di Istanbul, mancano risultati concreti. Le storie parlano più di qualsiasi dato e rendono l’idea di quanto sia cambiato negli ultimi 35 anni. Davvero troppo poco.

PALMINA MARTINELLI, BRUCIATA VIVA A 14 ANNI – Palmina Martinelli morì in ospedale, a Bari, il 2 dicembre 1981. Viveva a Fasano, aveva 14 anni ed era sesta di 11 figli. In ospedale era arrivata con ustioni di primo, secondo e terzo grado su tutto il corpo. Sussurrò ai medici i nomi dei due ragazzi che l’avevano ridotta in quel modo: Enrico Bernardi e Giovanni Costantini. Erano due fratellastri di Locorotondo, la cui madre gestiva una casa di appuntamenti in una vecchia villetta diroccata. L’allora pm Nicola Magrone interrogò Palmina sul letto di morte: lei confermò quei nomi e disse che lo avevano fatto perché rifiutava di prostituirsi. Nell’ottobre del 1988 la Cassazione accolse i ricorsi degli imputati, tra l’altro già assolti dalla Corte d’Assise d’Appello l’anno prima. Ottennero entrambi la formula piena: “Perché il fatto non sussiste”. A nulla sono valsi finora i tentativi della sorella di Palmina, Mina Martinelli, di far riaprire il caso.

“SONO BIN LADEN”. LIBERO A 46 ANNI – Il 20 luglio 2002 il 36enne Ruggero Jucker uccise la sua fidanzata, la studentessa universitaria Alenya Bortolotto, facendola a pezzi con un coltello da sushi. Poi scese nudo in strada gridando “Io sono Osama Bin Laden. Sono Satana, sono tutto il male che c’è al mondo. Sono la gatta Jucker”. Fu condannato in primo grado a 30 anni di carcere, che divennero 16 in Appello, ridotti di ulteriori tre anni con l’indulto. A cui vanno sommati i 90 giorni in meno per ogni anno trascorso in carcere ‘con la buona condotta’. Jucker è tornato libero nel febbraio del 2013, dopo dieci anni e mezzo da quella notte d’inferno. A 46 anni.

L’OMICIDIO DOPO L’ASSOLUZIONE. E LA SEMI INFERMITÀ MENTALE – Luca Delfino, oggi 37 anni, era fidanzato con Luciana Biggi quando la ragazza venne uccisa la notte del 28 aprile 2006. Fu trovata a terra, in un vicolo di Genova, in una pozza di sangue, con la gola squarciata probabilmente da un coccio di vetro. Delfino fu assolto. “Mia sorella è morta due volte” commentò la sorella di Luciana, Bruna Biggi. L’anno successivo Delfino si fidanzò con una commessa, Maria Antonietta Multari che lo lasciò dopo quattro mesi, denunciandolo per aggressione. Lui la uccise il 10 agosto 2007, a Sanremo. Con quaranta coltellate. Al funerale, comparvero sul sagrato della chiesa tre striscioni contro la magistratura. Per l’omicidio di Maria Antonietta Multari, Delfino è stato condannato a 16 anni e otto mesi, più cinque anni in una struttura psichiatrica perché gli è stata riconosciuta la semi infermità mentale. Ha già scontato metà della pena.

RICORSI STORICI: IL DRAMMA DI CHIARA – La storia di Chiara è la storia di una “condanna a vita”. La sua, però. Aveva 19 anni quando il suo compagno, Maurizio Falcioni, nel corso di una lite la massacrò di botte, provocandole – tra le altre cose – un ematoma al cervello. Era il 4 febbraio del 2014. Uscita dal coma dopo 11 mesi, Chiara è ora in stato vegetativo. Il 4 novembre scorso, l’imputato – condannato in primo grado a 20 anni – ha ottenuto uno sconto di pena in appello a 16 anni. Un film purtroppo già visto. Che ha spinto il padre della ragazza a scrivere e pubblicare su Facebook una lettera virtualmente indirizzata alla figlia: “Chiara, l’Italia è un paese dove non c’è dignità”. E l’amara conclusione: “Si fanno ricorrenze, si fanno salotti e si parla di violenza sulle donne, ma al dunque chi fa del male a una donna ne esce sempre meglio di chi è vittima”.

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