Michael ha abbandonato la scuola. L’ho saputo ieri: quel mio ex alunno, non ce l’ha fatta. A 15 anni ha detto basta. Ha scelto un’altra strada. Ha preferito restare a casa, andarsene a cercare lavoro. Appena avuta notizia di questa “ritirata” ho sentito tutto il peso della mia responsabilità da maestro. Mi son sentito fallito: ho pensato a quanto, probabilmente, non sia riuscito negli anni della scuola primaria a fargli assaporare il piacere dell’imparare; l’importanza di sapere per poter scegliere; per poter leggere un testo; per poter parlare con chiunque nel mondo; per essere un uomo libero. Michael, da ieri, è entrato a far parte di quel 17,5% di giovani under 25 che hanno abbandonato la scuola prima di aver terminato le superiori. Gli ultimi dati Ocse di questi giorni sono drammatici: l’Italia è seconda tra i Paesi Ocse per abbandono scolastico.

Per il Ministero, per la politica sono numeri, statistiche, cifre in percentuale cui sono assuefatti. Per me, per il maestro sono volti. Sono gli occhi di Michael, sono le facce di quei ragazzi di prima media che l’altro giorno durante un incontro mi dicevano: “Alex, perché la scuola è noiosa?”. Dovremmo partire da qui per leggere l’ultimo rapporto dell’Ocse. Dovremmo assumerci tutti la responsabilità dell’abbandono di Michael. Quando un ragazzo decidere di lasciare la scuola senza nemmeno finire le scuole superiori, è un fallimento per tutti. E’ una perdita, una sconfitta.

C’è qualcosa che non funziona: i nostri allievi non amano la scuola e imparano a fatica ciò che insegniamo. Secondo l’Ocse siamo il Paese con la maggior percentuale di giovani in età lavorativa (16-29 anni) con scarse competenze di lettura. L’Italia è, inoltre, penultima per abilità in matematica.

Non siamo capaci di appassionarli. Non riusciamo a trasmettere. Forse non siamo abbastanza formati e preparati per farlo. Ma di là delle competenze se penso a Michael, che alla primaria aveva dei buoni risultati, mi chiedo: dove l’abbiamo perso? Quando si è sentito abbandonato? Cosa lo ha spinto a lasciare i compagni, la bellezza di un traguardo da raggiungere? Mi rifiuto di pensare che quel ragazzo sia diventato parte di quella percentuale.

Un altro dato: l’Italia è il Paese dove il 31, 56% dei giovani svolge un “lavoro di routine” che non richiede l’utilizzo di competenze specifiche e il 15,3% ha un’occupazione che comporta uno scarso apprendimento legato al lavoro. E’ chiaro che siamo di fronte ad una scuola che non guarda oltre gli anni di formazione che le competono. Non fa orientamento. Non istruisce per dare a dei cittadini futuri l’Abc per poter essere degli ottimi operai specializzati, dei bravi cuochi o medici. Dobbiamo riparte da qui: dai Michael, non dalle cifre. Dai loro racconti. Da ciò che hanno da dirci per fare davvero delle nostre lezioni una “Buona Scuola”. Perché una buona scuola è quella che non perde un solo ragazzo.

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