Una rivoluzione ambientale radicale per combattere il sistema capitalistico. La nuova arma letteraria, persuasiva, e storicamente dettagliatissima, della scrittrice Naomi Klein nel nuovo libro edito da Rizzoli – Una rivoluzione ci salverà (Perché il capitalismo non è sostenibile) – si chiama “movimento ecologico”. La rinnovata ribellione al sistema dominante dell’economia e della finanza mondiale attraverso la protesta ambientalista estrema dell’autrice di No Logo sembra più vicino ai presupposti filosofici di Serge Latouche e della “decrescita felice” che ad un qualsiasi intervento di buon senso alla new deal in salsa Paul Krugman.

Dato per assodato che le emissioni di gas serra ogni anno continuano ad aumentare, aumentando la temperatura del globo, per iniziare la rivoluzione verde la Klein torna sul luogo del delitto – la lunga coda del neoliberismo distruttore di fine ‘900 – e costruisce un ragionamento, come sempre zeppo di esempi storici e confutazioni scientifiche, per suggerire ascissa e ordinata di una nuova forma di lotta sociale atta a salvaguardare il futuro del pianeta terra. Per capire cosa ci racconta la Klein in oltre 600 pagine di libro, uscito in Usa e Gran Bretagna nel settembre 2014, dobbiamo partire da una frase di Ronald Reagan pronunciata all’inizio del suo mandato nei primi anni ottanta, e presente a metà del volume: “Un albero è un albero. Di quanti altri ne avete bisogno da guardare?”. Manco a farlo apposta la frattura, il delitto colposo con confessione in prima persona, è proprio quando la scuola di Chicago e Milton Friedman decidono che non è più tempo di giochi protestatari e governi socialisti virati verso il collettivismo comunista. A farne le spese c’è anche, e soprattutto, l’ambiente e tutte le battaglie ambientaliste vinte tra gli anni sessanta e settanta, almeno negli Stati Uniti, a suon di “fai causa ai bastardi”, quando si riuscì persino a bandire il ddt nell’intera nazione americana. “Quest’epoca d’oro della legislazione ambientale era governata da principi semplici: bandire o limitare severamente l’attività o la sostanza lesiva dell’ambiente e, dove possibile, far pagare le spese di pulizia all’inquinatore”, spiega la Klein nel libro citando la nascita di decine di associazioni ambientaliste – tra cui Greenpeace (1971) sorte dopo la pubblicazione di Primavere silenziosa (1960).

Ma con gli ’80 l’aria che tira, oltreché inquinata, è foriera di traditori, perché lo spirito di quei decenni viene subito corrotto dall’atteggiamento delle “Big Green”, quei gruppi ambientalisti radicali che con l’avvento del dominio di Wall Street tradiscono la causa in nome del profitto. Un esempio? Environmental Defense Fund che da gruppo di pressione radicale si fece sponsorizzare battaglie di difesa dell’ambiente da grandi compagnie petrolifere e carbonifere. Finito il riflusso, superato anche il periodo dell’ambientalismo presidenziale del documentario green di Al Gore Una scomoda verità, ecco nascere una “rete popolare ampia” e mondiale, che si forma dal basso e lotta senza esclusione di colpi per difendere il territorio. E’ qui che il nuovo libro della Klein diventa “globale”.

L’elencazione di decine di esempi di protesta dal basso in ogni angolo del pianeta – Mongolia, Grecia, Canada, Sud America, ancora gli Usa che contro la pipeline Keystone XL ha rivisto cowboy e indiani insieme per difendere la propria terra – vanno a costituire il luogo chiamato “Blockadia”: “Non si tratta di un luogo preciso sulla mappa, ma piuttosto di una rovente zona di conflitto transnazionale che sta spuntando con crescente frequenza e intensità ovunque ci siano progetti estrattivi che tentano di scavare e trivellare, che si tratti di miniere a cielo aperto, di fratturazione idraulica o di oleodotti per il petrolio delle sabbie bituminose”. Mancano esempi italiani possibili (la Val di Susa e i No Tav?) ma la rivoluzione ecologica per la Klein inizia evitando la classica e diretta rappresentanza politica a favore del movimentismo: “I politici non sono i soli ad avere il potere di dichiarare una crisi: possono farlo anche i movimenti di massa di gente comune”. Una rivoluzione inevitabile che ripasserà dall’abbattimento, ca va sans dire, del sistema capitalistico, perché “in quel caldo e tempestoso futuro che abbiamo ormai reso inevitabile con le nostre passate emissioni, una fede incrollabile nell’uguaglianza dei diritti di ogni persona e la capacità di provare una profonda compassione saranno infatti le uniche cose che separeranno la civiltà dalla barbarie”.

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