Le primarie liguri del Pd per individuare il candidato alla presidenza della Regione, che contrapponevano l’eurodeputato Sergio Cofferati all’assessore regionale Raffaella Paita, si sono concluse con quest’ultima che ha stracciato il più titolato avversario; in una giornata in cui si è vista all’opera l’intera gamma delle azioni presenti nel campionario della malapolitica: denunce di inquinamenti malavitosi, smaccati voti di scambio, frotte di extracomunitari cammellati ai seggi.
Come il sottoscritto aveva previsto, intervistato sabato scorso da Ferruccio Sansa su il Fatto Quotidiano: nell’inarrestabile fuga della società dai partiti, la vittoria sarebbe dipesa dalle reti residuali di appartenenza ormai largamente degenerate in cricche e cordate. E quelle controllate dall’appassionato sponsor della Paita – il governatore uscente Claudio Burlando – apparivano già sulla carta come le più consistenti. Comunque una vicenda che ha espropriato i liguri della libera scelta riguardo al proprio futuro. Anche perché – in tutta evidenza – un giudizio mediamente informato rendeva impossibile appassionarsi alle alternative in lizza: l’antico segretario della Cgil che aveva rapidamente dilapidato un patrimonio di credibilità, prima imboscandosi a fare “il sindaco sceriffo” a Bologna, poi pensionandosi lautamente in quel di Strasburgo; la giovane imprenditrice di se stessa, non a caso gratificata dell’endorsement di Roberta Pinotti, che concepisce la politica come mero ascensore sociale su cui riversare una dotazione fuori del comune di spiriti animali. Il primo assicurava a una nomenclatura esausta il rinvio per un quinquennio della resa dei conti con le proprie contraddizioni (magari con l’aggiunta di qualche ingenuo buonismo di sinistra, pronto a bersi la favola del Cofferati “santo patrono dei lavoratori”); l’altra garantisce la prosecuzione del burlandismo senza Burlando: il mefitico blend di accompagnamento all’affarismo con la strizzatina d’occhio alla speculazione e ai privilegi, nella migliore tradizione della sinistra berlusconizzata.
Difatti la pubblica opinione locale è rimasta gelidamente indifferente innanzi a tale offerta politica. Solo le indagini dei prossimi giorni chiariranno una partecipazione ai seggi superiore al previsto, ma che già i feedback della prima ora inducono a ritenere spudoratamente clientelare. Non certo disinteressata.
Un ulteriore passo avanti verso l’estraneazione per disgusto del corpo sociale. Con l’ulteriore attendibile previsione che – se così resteranno le cose – il prossimo presidente di Regione Liguria verrà eletto a fronte di un rifiuto del voto che rischia di oltrepassare la metà degli aventi diritto. Una prospettiva – in tal caso – rispetto alla quale diventa ben più problematico restare indifferenti.
Tanto per non tirarla troppo per le lunghe: è ragionevole e responsabile (verrebbe da dire, onesto) assistere al proliferare di questo verminaio politico senza fare nulla? Una domanda che si indirizza immediatamente verso la collina di Sant’Ilario, dove abita il detentore del marchio Cinquestelle. Il primo serbatoio di voti anti-regime. Perché Beppe Grillo non può aver trascurato di seguire la vicenda che si svolgeva sotto i suoi occhi. Per cui ci si chiede cosa intenda fare, visto che l’isolazionismo ossequiente alla linea imposta dal (plagiaro?) Casaleggio impedisce ai Cinquestelle locali di muoversi liberamente e concorrere a far nascere un movimento di resistenza al Paitismo, come fase terminale del degrado partitocratrico in Liguria.
I numeri dicono che un ribaltamento della situazione è possibile, ma solo grazie a una aggregazione che metta insieme movimenti e pezzi della società civile, unificati in una comune campagna di liberazione.
Le invereconde primarie del Pd hanno definitivamente chiarito i contorni della questione, mentre si accorciano pericolosamente i tempi a disposizione.
È possibile sperare che per una volta tanto il buon senso prevalga sul dottrinarismo astratto? Tra l’altro il laboratorio ligure potrebbe essere l’incubatore a disposizione del M5S per uscire dall’impasse in cui vegeta da tempo.
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