Il governo indica la banda ultra-larga tra le sue priorità. Ed è un bene. Meno positivo che si affidi a un’unica soluzione tecnologica, per di più molto ambiziosa. C’è il rischio che il progetto non si realizzi per mancanza dei necessari investimenti privati. L’importanza della regolazione.

di Carlo Cambini, Michele Polo e Antonio Sassano, 23 dicembre 2014, lavoce.info

La strategia per la banda larga

Nelle ultime settimane la discussione sullo sviluppo delle reti a banda larga in Italia ha conosciuto due importanti passaggi: da una parte, il Governo ha pubblicato un documento (Strategia italiana per la banda ultralarga) che, facendo seguito al Rapporto Caio del febbraio 2014, pone le basi per una politica coordinata di sviluppo delle nuove infrastrutture di telecomunicazione e individua le cifre del finanziamento pubblico che potrà contribuire a questo progetto. Dall’altra, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno pubblicato i risultati dell’indagine conoscitiva congiunta sugli stessi temi.

Il documento del governo enuncia un obiettivo, associato a quelli della Agenda digitale europea, di dotare l’85 per cento della popolazione italiana di un accesso a banda ultra-larga (100 Mbps) e il rimanente di un accesso a 30 Mbps entro il 2020. Tra le molte opzioni tecnologiche in grado di assicurare queste performance, il piano governativo fa una scelta esplicita per la soluzione Fttb (Fiber to the Building), e cioè per la posa della fibra ottica fino ai palazzi degli utenti. Classifica quattro diverse situazioni (cluster) territoriali, a seconda dell’intensità degli incentivi privati a costruire reti in fibra ottica. Individua diverse forme di contributo pubblico, che vanno dalle agevolazioni fiscali, unico strumento nelle zone dove esiste una forte profittabilità privata, fino alla compartecipazione agli investimenti e ai contributi a fondo perduto, da associare all’organizzazione di gare per l’assegnazione della realizzazione delle infrastrutture. Mette infine sul piatto 6,5 miliardi nei sei anni del piano, che derivano da fondi europei, nazionali e regionali, prevedendo un finanziamento da parte degli operatori privati compreso tra 1 e 6 miliardi di euro.

Il documento delle Autorità, in molti punti coerente con questa impostazione, approfondisce tra l’altro il tema delle strutture di mercato che si potranno realizzare nella banda ultra-larga, da quella di un operatore di rete puro che la realizzi e venda l’accesso agli operatori di servizi, sulla falsa riga dell’esperienza Metroweb, a quella di un operatore integrato verticalmente sia nella realizzazione della rete ultra-broadband che nella vendita dei servizi Internet, a quella, preferita dalle Autorità, di un consorzio degli operatori di servizi che realizzi le nuove infrastrutture.

Una prima valutazione di questa complessa serie di provvedimenti vede con favore la decisione di porre la questione della banda ultra-larga come una priorità nelle politiche del Governo, individuando un ruolo di coordinamento e di promozione nel ministero per lo Sviluppo economico. Altrettanto positiva è l’individuazione di una serie di fonti di finanziamento di entità tutt’altro che trascurabile che contribuirà, dal lato pubblico, alla realizzazione di queste opere. Anche l’analisi differenziata a seconda delle situazioni di partenza e delle caratteristiche della domanda di servizi a banda larga conferisce realismo al piano governativo.
Riconosciuti questi meriti, tuttavia, riteniamo che il piano strategico enunciato dal governo contenga alcuni elementi di debolezza che potrebbero portare alla situazione paradossale di un piano sulla carta estremamente ambizioso (100 Mbps all’85 per cento degli italiani), ma che nei fatti non riduce, casomai accentua, il digital divide che oggi ci caratterizza. Cerchiamo di spiegare perché.

Le diverse soluzioni tecnologiche

L’obiettivo che viene enunciato appare oggi fortemente sovradimensionato rispetto alla domanda di servizi ultra-broadband in Italia. Di per sé questo elemento non sarebbe dirimente, poiché stiamo parlando di un investimento di lungo periodo che fornirà servizi di comunicazione nei decenni a venire, le cui caratteristiche di performance, riassunte nella velocità di connessione, debbono guardare in avanti e pensare alla domanda che si esprimerà in futuro.
Quello che tuttavia non convince, e appare come un salto logico non motivato, è l’automatica identificazione di una velocità di trasmissione (100 Mbps) con una particolare soluzione tecnologica, la posa delle reti in fibra fino ai palazzi.

Una velocità quale quella enunciata è oggi assicurata anche da soluzioni che sviluppano la rete in fibra fino agli armadi (Fiber to the Cabinet – FttCab) utilizzando la rete in rame esistente per l’ultimo tratto (rete secondaria), che dagli armadi raggiunge i palazzi e poi, al loro interno, le unità immobiliari dei clienti. Una caratteristica della rete secondaria italiana, rispetto a quella di altri paesi europei, è la sua compattezza, con il 50 per cento della popolazione entro 250 metri dall’armadio. In altri termini, una performance di 100 Mbps per il 50 per cento della popolazione può essere assicurata, in Italia, anche da una soluzione prevalente di FttCab. Così come le reti mobili di quarta generazione (4G – Lte) possono offrire performance analoghe nelle zone meno densamente abitate.

In altri termini, la soluzione privilegiata nel piano strategico del governo manca di una caratteristica che a nostro avviso è invece cruciale per assicurare il successo dell’intero progetto: predisporre una molteplicità di soluzioni che vengano incontro alle particolari caratteristiche della domanda e della configurazione del territorio e che siano scalabili, possano cioè essere progressivamente arricchite aumentando le performance dell’infrastruttura man mano che la domanda si sviluppa. Una soluzione scalabile, ad esempio, è quella che assegna inizialmente una prevalenza alla ipotesi FttCab, per poi passare negli anni alla più avanzata Fttb oppure alla Ftth (Fiber to the Home), man mano che la domanda di servizi internet aumenta, e una corrispondente suddivisione dell’investimento in fasi successive.

La scalabilità delle soluzioni appare cruciale poiché permette di graduare l’entità dell’investimento al progressivo sviluppo della domanda, mantenendo quindi una profittabilità che assicura la partecipazione da parte degli operatori privati. Un investimento subito profondo fino ai palazzi può essere motivato da ragioni di politica generale di lungo periodo. Ma al contempo può essere implementato solamente nel caso in cui le risorse pubbliche giochino un ruolo prioritario nel finanziamento dell’intero progetto. E peraltro la cifra complessiva di cui si parla (nel migliore degli scenari, circa 12 miliardi di euro) non appare neppure sufficiente per l’obiettivo di una rete ubiqua di tipo Fttb. Non è invece realistico immaginare l’enunciazione di obiettivi che mancano oggi di una adeguata profittabilità privata e nello stesso tempo affidare il cofinanziamento di una quota importante del progetto agli operatori privati.
Da questo punto di vista, sono emblematiche le esperienze dell’Australia, che ha ripensato il suo piano Ftth, e di alcune gare regionali per lo sviluppo della banda larga svoltesi di recente. Nel 2011, nella regione Basilicata è stata bandita una gara per la realizzazione, in trentanove comuni, di una rete a banda ultra-larga nella modalità più avanzata (Ftth). Per questo, lo Stato ha messo a disposizione 54,8 milioni di euro e chiesto un cofinanziamento ai privati pari al 30 per cento dell’intero investimento. La gara è andata deserta, rivelando come anche un contributo pubblico del 70 per cento non era in grado di generare ritorni privati adeguati. Successivamente, l’offerta è stata abbassata a 22,3 milioni con la richiesta di coprire un numero maggiore di comuni (64) ma con una soluzione di rete meno profonda (FttCab). A questa gara ha partecipato, aggiudicandosela, la sola Telecom Italia.

I rischi di un obiettivo troppo ambizioso

La possibilità che partire da un obiettivo molto ambizioso (Fttb) si traduca in una scarsissima partecipazione degli operatori privati non riguarda solamente le aree marginali, dove oggi e nei prossimi anni la domanda di servizi broadband è stimata troppo bassa dagli operatori privati. Il problema si può ripresentare anche nelle aree più avanzate. Nel valutare le prospettive di una politica generalizzata di gare per lo sviluppo di reti in fibra fino ai palazzi, occorre infatti tenere conto che già oggi gli operatori – Telecom Italia con circa 26mila armadi e Fastweb con circa 13mila armati raggiunti dalla fibra, a cui si aggiungono i piani di Vodafone Italia – hanno sviluppato senza incentivi pubblici una propria rete a banda ultra-larga nella soluzione FttCab, concentrandosi sulle aree dove la domanda di servizi a banda larga è già oggi più sviluppata. Data la compattezza della rete secondaria italiana, questa soluzione già oggi assicurerebbe (utilizzando la tecnologia “vectoring”) un collegamento a 100 Mbps a una porzione sostanziale della popolazione nelle principali città italiane, come si evidenzia nella tabella sottostante. Ci si chiede, quindi, quale sia la convenienza privata a realizzare un investimento ulteriore, che porti la fibra fino ai palazzi, assicurando una performance analoga, almeno per servire la domanda nel breve medio periodo, a quella che già oggi gli investimenti realizzati dagli operatori garantiscono. La risposta, peraltro, si può implicitamente trovare nella decisione di Metroweb di sospendere temporaneamente i propri piani di sviluppo di una rete Fttb o Ftth proprio in quelle città dove le reti degli operatori hanno portato la fibra fino agli armadi.

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In conclusione, riteniamo che la scelta del piano governativo di declinare l’obiettivo generale di performance della nuova rete ultra-broadband verso una unica soluzione tecnologica molto costosa rischi di portare a una realizzazione effettiva dei progetti di investimento molto al di sotto degli obiettivi enunciati. Pensiamo invece che preservare una pluralità di soluzioni tecnologiche (FttCab, Fttb, Ftth, Lte) a seconda delle caratteristiche delle diverse situazioni territoriali permetta di amplificare gli incentivi privati all’investimento, graduandoli sul territorio e nel tempo al diverso grado di sviluppo della domanda, e consenta quindi di concentrare le risorse pubbliche su quelle situazioni di digital divide dove gli incentivi privati sono insufficienti. Questo articolato sforzo deve appoggiarsi a diverse forme di finanziamento e contributo pubblico, ma anche a un intelligente disegno della regolazione, che incide fortemente, a seconda delle scelte adottate, sulla profittabilità delle diverse forme di investimento, come abbiamo già discusso.

Su questo tema il contrasto tra Telecom Italia e gli altri è a livelli massimi, ma è inevitabile che la regolazione non possa essere in conflitto con gli obiettivi di investimento e debba pertanto essere opportunamente ridisegnata. Un prezzo di affitto alla rete secondaria in rame (Slu) basso incentiva l’affitto dell’ultimo miglio e quindi spinge verso un’infrastrutturazione di tipo FttCab. Al contrario, un prezzo del rame costante o in aumento può incentivare una infrastrutturazione in fibra più profonda, e quindi di tipo Fttb/Ftth. Quale sia la soluzione migliore è difficile da valutare, ma la scelta non può che essere quella più appropriata dati gli obiettivi pubblici che si intende perseguire. A ciò è da aggiungere una possibile articolazione geografica dei prezzi, data la previsione di aree differenziate dal punto di vista della dotazione infrastrutturale e quindi con diversi livelli di competizione tra operatori infrastrutturali alternativi. Gettare la fibra oltre l’ostacolo può sembrare un esercizio di coraggio e di lungimiranza. Ma un dirigismo pubblico accentuato può funzionare se si accompagna a risorse pubbliche adeguate.
Altrimenti, una più attenta considerazione degli incentivi privati si rende necessaria perché all’annuncio segua una effettiva realizzazione dell’progetto.

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