Mohamed Deif merita di morire, proprio come Osama bin Laden: è un assassino e finché abbiamo l’opportunità, cercheremo di ucciderlo”. Così l’israeliano Gideon Saar, ministro dell’Interno ha detto alla radio dell’Idf, l’esercito che porta sulla bandiera la stella di David. Frasi succinte per spiegare una missione: anzi, la missione. Eliminare Deif detto l’ “ingegnere”, così come gli altri capi di Hamas. E Deif, a dispetto delle prime dichiarazioni di Hamas, sarebbe morto assieme alla sua famiglia, due giorni fa.

Il premier Benjamin Netanyahu cerca una possibilità in più per dire che l’operazione “Margine protettivo” è stata un successo. Altrimenti, sarà tutto come prima, e il fronte interno della contestazione – che non voleva l’ennesima guerra dentro la Striscia di Gaza, non voleva perdere 64 soldati, non voleva essere additato da una parte del mondo come “sterminatore di civili” – lo metterà alle corde. Non è un caso, dunque, che il primo ministro Netanyahu ha elogiato “le eccezionali attività di intelligence” del servizio di sicurezza Shin Bet e la precisione dell’esercito in relazione al raid che ha ucciso i comandanti palestinesi Mohammed Abu Shamaleh, Raed Al-Attar e Mohammed Barhoum; i servizi israeliani li ritenevano coinvolti nel sequestro dei soldati Gilad Shalit e Hadar Goldin (quest’ultimo morto proprio durante il suo rapimento).

E se la morte di Deif sarà confermata, il successo per Netanyahu sarà più vicino. Mentre il governo di Tel Aviv richiama 10. 000 riservisti, segno che non si scarta l’opzione dell’intervento via terra, Hamas amministra giustizia ammazzando tre “spie”. È questa la vita a Gaza, scandita dalle decine di razzi che partono dalla Striscia per colpire Israele. Dietro quegli ordigni c’era Deif – vero nome Mohammed Diab al-Masri – che Hamas voleva ancora in vita affermando che era sfuggito al bombardamento, per l’ennesima volta; dal 2002 al 2006 gli israeliani avevano provato quattro volte, l’altro ieri è stata la quinta. L’ “ingegnere” portava addosso i segni di questa caccia all’uomo: costretto su una sedia a rotelle, aveva perso un occhio e riportato ustioni che lo hanno segnato per sempre.

Ogni volta che Deif si salvava, accresceva la sua leggenda; nato nel campo profughi di Khan Yunis, nel sud di Gaza, nel 1965, si era avvicinato ai Fratelli Musulmani all’Università di Gaza, dove studiava Biologia. Tutto ciò che aveva imparato – dai travestimenti all’uso degli esplosivi – Deif lo doveva a Yahya Ayash (da cui ha ereditato il soprannome di “ingegnere”) considerato il suo mentore; specializzato in ordigni telecomandati, è stato ucciso dai servizi israeliani nel 1996 con una carica esplosiva nel telefono. Nel 2002 Deif diventa capo dell’ala militare di Hamas, le Brigate Ezzedine al-Qassam, dopo la morte violenta del suo predecessore, Salah Shehade.

Gli israeliani attribuiscono a Deif di tutto: lo ritengono ideatore della campagna di attentati suicidi sui bus e nei luoghi pubblici a Tel Aviv e Gerusalemme, fino al 2006. Per i servizi di sicurezza Deif è “personalmente responsabile della morte di decine di civili”. Non solo: l’“ingegnere” è considerato fra i tecnici che hanno progettato i razzi Qassam con una gittata di otto chilometri utilizzati da Hamas fino a quando non ha avuto dall’Iran razzi più potenti. Eppure chi lo ha conosciuto lo descriveva come “una persona gentile, discreta, con un modo di parlare dolce, appassionato di strategia militare”.

La sua ritrosia per le interviste? “Gli piace stare seduto a leggere il corano”. Deif aveva imparato a muoversi nell’ombra: le sue foto risalgono a venti anni fa, qualcuno lo vede in una strada del Cairo, lui rispunta a Gaza. Due giorni fa lo credeva pure l’Idf, che ha tirato un missile sulla sua casa: Deif è morto assieme alla moglie e la figlia? Secondo Hamas non è così ma stavolta la leggenda non avrà un capitolo in più. Dei personaggi da abbattere ritratti su un mazzo di carte nel 2003 dall’esercito israeliano, Deif era l’unico superstite: Alon Ben-David, analista militare per la televisione, qualche anno fa disse: “Il principale talento di Deif? È sopravvivere”. Israele ora resta col fiato sospeso in attesa di avere un riscontro sulla sua morte.
Dal Fatto Quotidiano del 22 agosto 2014

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