Cosa succede al mondo? Probabilmente c’è una maggiore attenzione dei media italiani rispetto a qualche tempo fa, ma nonostante questo ad alzare lo sguardo oltre i confini della nostra penisola pare veramente di essere entrati in un circolo vizioso para-apocalittico. Dall’Ucraina al Medio Oriente, dall’Africa subequatoriale a quella occidentale si assiste ad una disperazione infinita causata dall’uomo all’uomo, come nel caso delle incredibili quanto atroci guerre alimentate dai fanatismi dell’Isis. Mentre Hamas e Israele, per citare solo alcuni dei pessimi interpreti di questa tragedia quotidiana, o gli ex connazionali in guerra in Ucraina alimentano un bollettino di morte che non accenna a finire. A questo tumulto civile si aggiunge l’epidemia di ebola in Liberia, Guinea, Sierra Leone sfiancando i volontari che si prestano da decenni a rendere meno impossibili le vite di quei martoriati popoli. A questi, ugualmente colpita in modo pesante dal virus, si aggiunge la Nigeria. 

Può sembrare quasi una speculazione intellettuale fine a se stessa (o comunque azzardata) mettere in relazione questi diversi “mali estremi” del mondo, ma non lo è se si analizza ciò che è divenuto il mondo oggi: un sistema integrato di Stati sempre più fortemente interconnessi tra loro, dai confini sempre più sfumati.

La prima reazione al virus di ebola infatti, è stata la chiusura delle frontiere e l’aumento dei controlli del traffico aereo di merci e persone. Scelta sacrosanta e doverosa, per non dare linfa al virus e non estendere l’epidemia subito ad altri paesi oltre a quelli già contagiati. Ciò però non risolve in modo certo il problema, in primis perché contano già più di 1.350 morti nei quattro paesi, ma anche perché solo il contenere e riuscire ad estinguere il focolaio escluderebbe un perenne pericolo di estensione dell’epidemia a tutti gli altri Stati. Fin da subito, anche se in maniera discontinua, Usa, Ue e Cina si sono attivati per portare soccorso alle nazioni colpite (tra cui, non dimentichiamo, c’è la Nigeria, forse la più importante economia africana assieme al Sud Africa), ma, nei fatti, in loco sono rimaste solo le Ong come il Cuamm e Msf. Negli scorsi giorni l’Oms ha ammesso che l’epidemia è stata sottovalutata e servono maggiori attenzioni, partendo da un aumento del personale preparato. Serve un impegno diretto dei sistemi sanitari occidentali, com’è già successo in passato per malattie che falcidiavano le popolazioni del Terzo mondo e rappresentavano un rilevante pericolo per quelle dei paesi sviluppati.

Non è solo una questione di “misericordia” umanitaria dunque, ma sta persino nell’interesse egoistico di ciascuno di noi che questo male sia debellato. E’ notizia di ieri che il dottor Kent Brantly, in missione in Liberia e contagiato dal virus, sia stato dimesso dall’ospedale di Atlanta dov’era ricoverato dal 2 agosto con il siero sperimentale Zmapp, così come si sono visti grandi progressi sull’infermiera Nancy Writebol. La notizia è eccezionale, perché significa che il virus è, per la prima volta nella storia, curabile. La casa farmaceutica ha dichiarato di aver fornito ai paesi africani le scorte in suo possesso, gratuitamente, ma di non essere pronta a produrre il siero su larga scala. Qui e ora devono intervenire i governi occidentali, finanziando la conclusione della ricerca e garantendo che il siero sia celermente riproducibile su base industriale.

Va poi ripensato l’intero ordine mondiale. La situazione di un così forte squilibrio in un mondo divenuto così piccolo, per cui ogni accadimento anche di lieve entità può incidere ovunque sul pianeta, necessita una profonda revisione della politica estera e internazionale. I Paesi ricchi utilizzano le risorse dei molti poveri, spesso ne alimentano le ingiuste o crudeli dittature, chiudono gli occhi di fronte a evidenti ingiustizie per ragioni di immediato interesse politico e/o di sfruttamento economico, tutto ciò non solo non è più tollerabile dal punto di vista morale, ma neppure sostenibile nel lungo periodo.

Questa disomogeneità costringe i paesi occidentali a costosi interventi militari, umanitari, missioni di ogni genere, sempre provvisorie, mai risolutive. Serve un piano di sviluppo per tutto il pianeta rivedendo paradigmi economici e culturali, a vantaggio di uno sviluppo durevole e della riduzione delle diseguaglianze. Possiamo cominciare dal rivedere questo nostro modo di intendere la soluzione dei problemi restringendo il campo, fino a ridurlo a quello del nostro giardino, allargando così quella visuale provincialista che troppe volte fa del nostro Paese uno stato piccolo, piccolo. Nel frattempo è possibile sostenere i coraggiosi medici del Cuamm rimasti in Sierra Leone e negli altri paesi collegandosi a questo link

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