“Mandela ci ha mostrato cosa si possa ottenere quando abbiamo ogni giorno il coraggio di essere il meglio di noi stessi” (Barack Obama, per  la ricorrenza del 90° compleanno).

Devo essere ormai specializzato a farmi domande scomode che mi mettono in crisi. Superati i 50, mi chiedo ad esempio dove, come (e quanto) posso ancora migliorare e tra sacro e profano ricordo a me stesso che Mandela è uscito dal carcere a 71 anni, che Papa Francesco è diventato Papa a 76, che non riesco ancora a battere il mio compagno di tennis Elia che ne ha 68…Non  rinuncio a confrontarmi con i ‘migliori di me’ che vedo in giro: ne vedo ed  incontro talmente tanti che a volte provo un senso di svenimento, ma l’umorismo mi ha sempre aiutato a sopravvivere a me stesso ed alle domande scomode. 

Quest’anno voglio condividere queste domande anche con voi .

La prima  domanda è:  ‘Cosa differenzia  le  “persone (più o meno, apparentemente, pigramente) comuni”   da grandi personaggi come Mandela,  Steve Jobs, Adriano Olivetti, Giorgio Ambrosoli, José Mujica e – per fortuna- moltissimi altri?’

La seconda domanda è:  fare confronti del genere non è un indulgere  alla retorica dell’eroe, in un mondo dove quasi nessuno ha voglia di esserlo – per appagamento, mancanza di ambizione, o paura? Dove molti cercano solo una vita più confortevole?

Partiamo dalla seconda. Una  delle risposte al ‘perchè ispirarsi ai grandi  invece di starsene comodi a casa (o al circolo)’ può essere proprio nella frase di Obama che ho citato in apertura “Mandela ci ha mostrato cosa si possa ottenere quando abbiamo ogni giorno il coraggio di essere il meglio di noi stessi’

Perché confrontarci con il meglio può aiutarci a dare il meglio di noi stessi.

Pensate ad un genitore che si ispiri a un suo ottimo padre, o zio, o altro modello: probabilmente sarà un genitore migliore di quello che si perde nelle sue frustrazioni quotidiane.  O un insegnante che si confronti anche con grandi pedagogisti o bravi precedenti insegnanti, o bravi colleghi:  forse riuscirà a compensare  la frustrazione del  lavoro quotidiano ed a ‘fare la differenza’ per la vita di qualcuno dei ‘suoi’ ragazzi.

In fondo chi  non vorrebbe dare il meglio di sé, se potesse? Chi rifiuterebbe mai  di guardarsi la sera allo specchio, o specchiarsi negli occhi dei figli o dei propri studenti, e potersi dire sorridendosi  “ho fatto del mio meglio, nel mio piccolo”. Chi, in fondo in fondo,  non sarebbe fiero di  ‘fare la differenza’ in qualcosa?

Torniamo alla risposta alla prima domanda, sul confronto tra persone ‘comuni’ e persone ‘grandi’

Le seconde ‘fanno la differenza’, lasciano un mondo (paese, ambito, settore) diverso, di solito migliore. Ma è solo una questione di scala di grandezza. Vi racconto a tal proposito un aneddoto personale. La mia famiglia ha un collaboratore domestico filippino che viene due volte al mese per sistemare la casa (che con tre figli ed una vita convulsa tende sempre al disastro..). Robert  fa la differenza eccome, ci rimette al mondo, riprende la casa dal buco nero di entropia in cui stava precipitando, arresta il ritorno del caos primordiale e ce la restituisce profumata.  Ormai un mio piccolo eroe e un piccolo modello. Qual’è la differenza tra Robert e  lo  spazzino  romano che ‘pascola’ sotto casa facendo finta di spazzare? La dignità, la voglia di ‘fare un buon lavoro’, il senso di responsabilità per la sua ‘porzione di mondo’  da migliorare.

E ‘avere un  sogno’? Tutti i grandi sono sognatori, sognano grandi imprese o  ‘valori’ da tenere fermi quotidianamente (come Giorgio Ambrosoli).

La nostra Scuola in particolare ha da sempre battuto sull’importanza del sogno, ‘Un vincitore è un sognatore che non si è arreso’ è uno dei nostri claim ripreso  da Mandela molti anni fa. ‘Avere un Sogno’ (ma se lo hai, in realtà ne sei anche posseduto) traccia una rotta, visualizza il cammino, canalizza le energie, chiarisce chi sono i compagni di strada i con-correnti o i nemici, non ti fa disperdere  in piccole risse ‘fuori tema’, ci permette di sopportare il carcere perchè c’è qualcosa importante che ci aspetta fuori dalla finestra, ci permette di lasciare da parte il nostro ‘ego’ per qualcosa di più grande.

Ma più vado avanti più credo che la differenza non sia tanto nel sogno, ma nel senso di responsabilità personale (engagement) rispetto ad una  ‘missione’ piccola o grande da compiere (supportati o meno dalla fede): la missione di Robert è rimettere a posto le case (ed i nervi dei suoi abitanti).  

Sono persone che ‘creano valore’ non solo per sé, ma anche per  gli altri,  questa è di certo una cosa che contraddistingue molti di coloro che lavorano nel non profit, ma anche di tanti altri dignitosamente responsabili.

Cosa al contrario impedisce a molti altri di non esserlo? La paura che ci fa attaccare al ‘nostrum’? Il ‘confort’ che ci impigrisce tra carriera e divano? Io non lo credo. Penso che la spiegazione sia la stessa di chi butta la cartaccia per terra invece che nel cestino vicino. “Ma come lo spieghi?”, chiesi anni fa a cena a Valerio Balzini, amico caro da decenni impegnato nella cooperazione sociale. “A partire dal sentimento che i loro gesti non abbiano valore, dall’insignificatività dei gesti’, mi rispose più o meno Valerio  dal sentire – provo a tradurre- di ‘non fare la differenza’, nel bene e  nel  male,  di non contare nulla (e spesso,  ma fa lo stesso, di ‘essere contro’  quel  sistema per il quale non conti nulla).

L’approccio, mi viene da proporvi, non è quindi quello ‘moralista’ di condanna, ma quello di ‘ridare valore’, ridare dignità, responsabilità, ridare ‘fiducia’ (empowerment) a tutti sul poter contare, essere significativi, creare valore e fare la differenza, nel piccolo e nel grande.

Per approfondimento dei temi del non profit rimandiamo anche al Blog di ASVI http://www.asvi.it/blog4change/

Vi invitiamo anche a sentire il discorso di Josè Mujica giudicato ‘uno dei più belli di tutti i tempi. 

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