Ho criticato più volte le correnti della magistratura. Ma attenzione: correntismo non significa collateralismo politico.
Questo equivoco è alla base delle farneticazioni di B. Costui, nel noto messaggio televisivo, ha esplicitamente sostenuto di essere perseguitato da una magistratura contropotere dello Stato, impegnata a realizzare il socialismo attraverso la via giudiziaria, egemonizzata dai pm di Magistratura democratica. Pd, Sel e i grillini si sono limitati alla vicenda del pregiudicato B.: la sentenza passata in giudicato, la condanna definitiva, il meccanismo automatico della legge Severino; e hanno accettato la polemica su risibili argomentazioni giuridiche (la retroattività della legge, l’incostituzionalità, la Giunta e il Parlamento organo giurisdizionale etc). Nessuno ha voluto assumere lo scomodo ruolo di difensore della magistratura italiana. La verità è che l’essere divisi in correnti che praticano uno sfacciato clientelismo non trasforma i giudici correntizzati (meno della metà del totale) in magistrati collaterali a questo o quel partito politico e, men che meno, tutta la magistratura in organo collaterale alla sinistra.
Intanto bisogna intendersi sui termini: clientelismo significa favorire la carriera degli adepti. È una pratica comune a tutte le correnti che, spesso, si alleano per far prevalere il candidato di una a danno di quello delle altre; va da sé che il favore sarà poi restituito. Semplice spartizione di potere interno, niente a che fare con la politica. Diversa cosa è il collateralismo; che significa, qui ha ragione B., appoggiare l’azione di un partito mediante sentenze che lo favoriscano: in sostanza, assolvere un colpevole o condannare un innocente in funzione della sua appartenenza politica.
La metà dei magistrati italiani è divisa tra 4 correnti. I giudici appartenenti a MI e Unicost dovrebbero, da anni, aver assolto decine di politici di destra e condannato altrettanti politici di sinistra; e quelli appartenenti a Md e Movimento dovrebbero aver fatto il contrario. Ma nulla di ciò è mai avvenuto: i processi li fanno giudici appartenenti a tutte le correnti e anche quelli (la maggioranza) che non appartengono a nessuna; sicché sono impossibili sentenze “mirate”. E poi: visto che ogni imputato, di qualsiasi partito, attribuisce il suo processo a persecuzione politico-giudiziaria, ne deriverebbe che la magistratura perseguita tutti i politici indistintamente. Il che è assurdo perché privo di giustificazione logica.
La verità è che la politica è stata inquinata dal malaffare ovvero dalla ricerca del potere fine a se stesso. I valori costituzionali sono diventati un ostacolo. La legge stessa è diventata un impaccio. Per questo la magistratura è “il” nemico. Perché i magistrati si sono compattati. Le differenze culturali e ideologiche sono divenute irrilevanti di fronte alla necessità di difendere quei valori. Ne è derivata una forte ipocrisia interna: le correnti, sotto questo profilo, non hanno ragione di esistere, non vi sono più differenze culturali tra loro; ma non vengono abbandonate per via delle necessità legate al clientelismo e sono mantenute in vita da un apparato sempre più isolato. Dall’altro lato, però, i magistrati sono diventati più impermeabili agli attacchi e alle lusinghe della politica: i corrotti si contano sulle dita di una mano; forse ce n’è un po’ più di pavidi, ma anche di questi il numero è modesto.
La vera contrapposizione tra magistratura e politica è questa.
il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2013
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