Lo scenario siriano è sfuggente. Esiste uno stato legittimo contestato militarmente da ribelli. Questo è la definizione più corretta. Sembra tuttavia che la Siria sia una lite tra vicini di casa (meglio dire vicini di stato) che stia degenerando, senza che nessuno voglia metterci un fermo. Per l’inazione di molti e l’azione di pochi in Siria sta per scoppiare una piccola guerra mondiale. La morte di civili causata da armi chimiche ha estremizzato un conflitto a media intensità dove erano già presenti, direttamente o indirettamente, una decina di stati. Lo schieramento militare sul suolo siriano è composto da due fronti. Il fronte governativo, il governo ufficiale, è direttamente sostenuto dalla Repubblica iraniana (che supporta anche le milizie Hezbollah in Libano), indirettamente sostenuto da Russia e Cina, con minor partecipazione dagli altri stati dei Brics (nell’ultima conferenza dei Brics, tenutasi a fine marzo a Durban, gli stati partecipanti hanno auspicato una soluzione pacifica per la questione siriana).

Sul fronte dei ribelli sono impegnati direttamente i paesi della penisola arabica, con una marcata partecipazione economica del Qatar, una partecipazione sul campo dell’Arabia Saudita (il principe Bandar, è stato spesso segnalato nella zona) la Turchia con una politica di gestione dei suoi confini con la Siria di semi permeabilità. In supporto indiretto (ma che presto potrebbe divenire diretto) Usa e Francia. Semi neutrale resta la Germania (che fornisce supporto di intelligence dal 2012 ai ribelli) e neutrale il resto d’Europa inclusa l’Italia.

Vitale è comprendere per cosa si stia rischiando un’escalation del conflitto in Siria: la democrazia e la libertà di un popolo (meglio dire una parte di esso, quello schierato con i ribelli). La certezza deriva dal fatto che in Siria non c’è nulla per cui valga la pena combattere. Poco petrolio (prima della crisi si parlava di circa 400 mila barili al giorno), poco gas disponibile nelle coste vicine. Estraibile si, ma ad un costo poco vantaggioso quando consideriamo che gli Stati Uniti avranno un boom di shale gas con costi di produzione e trasporto decisamente ridotti, se paragonati alla realtà mediterranea. Esiste il porto militare di Tartus, affittato alla flotta russa. Il grande gigante considera la Siria parte della sua sfera di influenza. Tuttavia difficile a credere che i russi rischierebbero un conflitto diretto con gli Usa per un sito portuale. La Siria sembra essere, nel migliore dei casi, un modello per guerre future. In passato alcune guerre civili erano territorio di confronto tra le due grandi potenze della Guerra Fredda. La Korea vide Americani contro “comunisti” (cinesi supportati dai russi). Il Vietnam fu la naturale evoluzione della Korea, con ancora schierati Usa contro Urss. La disfatta del Vietnam da parte Usa innescò, dopo alcuni anni, quella che in gergo viene chiamata la trappola di Brzezinski, meglio conosciuta come la prima guerra dell’Afghanistan, dove l’Unione sovietica si trovò impantanata con un decaduto governo filo sovietico e una ribellione (i famosi Mujahideen tra le cui fila si ricorda anche un giovane Osama Bin Laden). In Afghanistan, con la presenza di supporto anche della famiglia Laden (Arabia Saudita), si configurava lo scenario di multi-supporto alle fazioni in lotta. Se gli americani fornirono (ben illustrato con ironia nel film La Guerra di Charlie Wilson) armamenti, parte di essi più la logistica e l’addestramento eran forniti dalle ricche famiglie della penisola arabica. Arrivando ai giorni nostri troviamo la più recente guerra Iran-Iraq (supportato dagli Usa) e gli attuali conflitti africani. Prima le primavere arabe, risoltesi velocemente, poi la Libia (un primo test di guerra multilaterale) un troppo veloce Mali e ora la Siria. Cosa potrebbe indurre  le potenze occidentali o i Brics a scatenare una guerra seria? Petrolio e Gas difficile a credersi, il porto di Tartus non vale tanto. Vi sono scenari complessi discussi dai grandi strateghi in merito ad un effetto domino: se cade la Siria si indebolisce l’Iran e il Libano e di qui la caduta del fronte mediorientale-mediterraneo della Russia (per esteso meglio dire dei BRICS). Di queste teorie è piena la rete, lascio ad altri il piacere di un Risiko. Forse per un mal celato orgoglio, quella visione imperialistica (stile vecchia guerra fredda) del “non fate un passo oltre” che in passato che caratterizzò le relazioni da guerra fredda tra Russia e America. La realtà semplice è che la Siria rischia di degenerare dal nulla nel nulla.

Una lotta interna di assestamento tra i singoli stati della lega araba sta sfuggendo di mano ai singoli stati. Siria, Libano, Iran e forse anche Iraq da un lato, blocco penisola arabica (Sauditi, Emirati) dall’altro. Da un litigio tra vicini di casa, si è passati a chiamare il “fratello maggiore”. Nel caso del Governo siriano significa Russia e Cina (in scia il resto dei Brics che fan orecchie da mercante) nel caso dei ribelli tutto l’occidente disposto a portare pace e democrazia (al momento più che altro Usa e Francia). Esiste tuttavia un rischio che Obama sta attentamente soppesando. Tante armi moderne e intelligenti, in uno spazio geografico, ridotto possono portare a incidenti imprevisti. Se, per sbaglio, un missile o un drone “intelligente”, colpisse una delle navi russe ormeggiate nel porto di Tartus, un bisticcio tra vicini potrebbe facilmente degenerare in una guerra seria.

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