Papa Francesco boccia la gestione post Vatileaks di Tarcisio Bertone. A cadere per prima è la testa di monsignor Giuseppe Sciacca, fino a oggi segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, nominato da Bergoglio segretario aggiunto del supremo tribunale della Segnatura apostolica. Un incarico creato ad hoc per lui dal Papa. Era stato Bertone, nel settembre 2011, a volere Sciacca al posto di monsignor Carlo Maria Viganò che, in totale rotta di collisione con il porporato salesiano per la sua opera di risanamento del bilancio del Governatorato vaticano, era stato trasferito da Benedetto XVI che lo aveva inviato nunzio apostolico a Washington dopo che aveva denunciato casi di “corruzione” negli appalti della Santa Sede. Lettere a dir poco infuocate erano state scritte da Viganò a Bertone e a Benedetto XVI per scongiurare il suo allontanamento da Roma che equivaleva a un’inappellabile bocciatura del suo operato all’insegna della trasparenza finanziaria e di una gestione eticamente corretta del denaro all’interno dei sacri palazzi. Ma Benedetto XVI aveva avallato la rimozione voluta fortemente da Bertone. La decisione di Papa Francesco è, invece, un ulteriore e importante passo verso la trasparenza finanziaria vaticana, la lotta al riciclaggio e alla corruzione che, come dimostrò Viganò nelle sue lettere rese pubbliche da Gianluigi Nuzzi, sono ben radicate dentro le mura leonine.

La rimozione di Sciacca, con Benedetto XVI regnante considerato papabile per la sede cardinalizia di Palermo, è anche un avviso di sfratto imminente a Bertone. Secondo alcune voci insistenti si tratterebbe ancora di pochi giorni prima della successione, “non più di una settimana”. Da molti nella Curia romana il nuovo incarico di Sciacca è considerato una sorta di “parcheggio” per uno degli uomini più vicini al porporato salesiano. Sciacca, tra l’altro, era entrato da diversi mesi in forte contrasto con il suo diretto superiore, il presidente del Governatorato Giuseppe Bertello, l’unico porporato con incarico a Roma nominato da Papa Francesco nel gruppo di otto cardinali che dovrà consigliarlo nel governo della Chiesa e nella riforma della macchina curiale. Bertello, fedelissimo di Bergoglio e tra i suoi principali grandi elettori nel conclave di marzo, è anche in pole position, subito dietro il favorito nunzio in Venezuela Pietro Parolin, per succedere a Bertone alla guida della Segreteria di Stato.

Oltre a Parolin e a Bertello, in Curia si fanno i nomi di Luigi Ventura, nunzio in Francia, e proprio di Viganò, la cui candidatura è fortemente sostenuta dal cardinale di New York e presidente dei vescovi Usa, Timothy Michael Dolan. Non a caso è stato proprio il porporato americano, qualche settimana fa, a criticare duramente il Papa argentino per non aver rimosso ancora Bertone. La nomina di Viganò però, fanno notare in Curia, sarebbe troppo dirompente con il “duumvirato” Ratzinger-Bertone e provocherebbe non pochi dispiaceri al Papa emerito che verrebbe clamorosamente sconfessato in una delle decisioni più delicate del pontificato, come emerso dai documenti pubblicati da Nuzzi nel suo libro “Sua Santità”.

Proprio a Benedetto XVI Viganò aveva espresso “profondo dolore e amarezza” per la decisione di trasferirlo negli Stati Uniti d’America. “In altre circostanze – aveva scritto il nunzio al Papa tedesco – tale nomina sarebbe stata motivo di gioia e segno di grande stima e fiducia nei miei confronti ma, nel presente contesto, sarà percepita da tutti come un verdetto di condanna del mio operato e quindi come una punizione”. Ma Ratzinger non aveva voluto sentire ragioni e aveva confermato quella decisione. Ora Papa Francesco riparte proprio da quella nomina e Viganò entra di diritto nella corsa per la successione di Bertone.

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