La Vauda è un altopiano a nord ovest di Torino che parte da Lanzo e arriva sino a Volpiano (quasi alle porte della metropoli). E’, in pratica, l’altra metà geologica della Mandria. All’interno dell’altopiano si trovano un sito di interesse comunitario (SIC) che tocca 10 Comuni e che a sua volta contiene una riserva naturale di oltre 2600 ettari. All’interno della riserva naturale esiste – in pratica sin dal XVIII Secolo – un’area militare che occupa 1800 ettari del parco, di proprietà del Demanio Militare.

Per “valorizzare” i beni in capo al Ministero della Difesa (immobili, marchi, eccetera), il Governo ha costituito nel marzo 2010 Difesa Servizi Spa, affidandole la gestione di questo patrimonio (tra cui anche l’area militare all’interno della Vauda). A fine 2011 Difesa Servizi Spa ha indetto una gara internazionale – che è stata vinta dalla multinazionale tedesca Belectric (uno dei maggiori player mondiali nel campo delle energie rinnovabili) – per affidare oltre 70 ettari dentro la riserva della Vauda, su cui installare un mega impianto fotovoltaico da 498 mila pannelli e 42 MWp, più tutte le strutture di servizio.

Tutto questo mentre in Italia le battaglie contro il consumo di suolo raggiungevano finalmente la ribalta nazionale e anche il Parlamento e altri pezzi del Governo (l’allora Ministro Catania) avviavano un dibattito e presentavano proposte in direzione del contenimento del consumo di suolo. Dunque un progetto demenziale: ettari di suolo agricolo fertile nel cuore di una riserva naturale, dentro un SIC, che il Governo italiano (il “nostro” Ministero della Difesa) decidono di impermeabilizzare, ovvero perdere per sempre. Il patrimonio più prezioso per la comunità di 10 città che gravitano attorno e dentro l’area risulterebbe compromesso, ai limiti della totale distruzione, senza alcuna contropartita (ammesso che possa esistere una contropartita alla perdita definitiva di un’area naturale e agricola di pregio).

Al Ministero della Difesa, attraverso, la sua società, andrebbero solo gli affitti dei terreni (la cui entità economica non è ancora nota). Ai Comuni del territorio non arriverebbe altro che qualche spicciolo di Imu. Posti di lavoro in loco (anche qui: ammesso che abbia senso questa contabilità) nessuno. Indotto minimo e limitato al periodo del cantiere. Per contro un Paese, come il nostro, che a ogni piè sospinto parla di Made in Italy agroalimentare (e ci organizza persino un Expo mondiale), di paesaggio, di bellezze naturali punta sul turismo di qualità, che danno ricaverebbe da questa operazione? Incalcolabile ma, state pur certi, enorme.

I Sindaci e i cittadini del territorio sono tutti schierati per impedire questa follia. Al loro fianco tante organizzazioni della società civile e la Provincia di Torino (non nuova a queste sensibilità, si veda la nota vicenda Ikea). Entro fine luglio la Provincia dovrà esprimersi sull’autorizzazione richiesta dalla Belectric per costruire l’impianto. Il Presidente Saitta ha anticipato l’intenzione di respingere la richiesta ma si aspetterebbe un cenno di sostegno da qualche esponente del Governo.

Slow Food ha scritto ai Ministri interessati: in primis il titolare della Difesa, Mario Mauro, poi i responsabili dell’Ambiente (Orlando) e dell’Agricoltura (De Girolamo). La lettera è firmata anche da Don Luigi Ciotti, Luca Mercalli, Salvatore Settis e Padre Alex Zanotelli. La vicenda è importante non solo per la Vauda ma per tutte le altre aree di proprietà del Ministero, che non possono essere gestite economicamente a discapito delle comunità locali e dei beni comuni che interessano.

Ma soprattutto qui è a rischio un principio fondamentale: se un’area protetta non è tutelata in primis dallo Stato, come si fa a pretendere che i singoli cittadini abbiano a cuore le sorti dei beni naturali del nostro Paese? Come si può pensare che qualcuno non veda in questa vicenda un pericoloso precedente a cui ispirarsi per qualsiasi futuro sfruttamento di qualunque area protetta anche non demaniale? La difesa della Vauda sembra una piccola battaglia, ma è una grande lotta che dobbiamo condividere. Una lotta fatta di tanti sì: al paesaggio, all’agricoltura, alla natura, al rispetto della biodiversità e delle persone.

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