Un’assemblea pubblica per rompere il silenzio, per dare una risposta immediata della società civile di fronte all’escalation di violenza contro le donne. Si terrà il 6 maggio alle 18 presso l’Aula Sinibaldi dell’ospedale Grassi di Ostia il primo incontro promosso dal coordinamento di donne contro il femminicidio, costituitosi dopo il flash mob del 21 aprile “Rompiamo il silenzio. Un fiore per Michela e le altre”, a cui parteciparono commosse oltre 500 persone.

L’obiettivo è creare un coordinamento cittadino tra le realtà più attive nel contrasto della violenza di genere e un comitato per sostenere le iniziative giudiziarie che verranno intraprese dalle famiglie delle vittime. “L’assemblea rappresenta la prosecuzione naturale di un percorso nato spontaneamente dopo l’assassinio di Michela Fioretti, l’infermiera di Acilia uccisa a colpi di pistola dall’ex marito dopo un inseguimento stradale”, afferma Giorgia Celli, una delle organizzatrici. “Pochi giorni dopo il flash mob, organizzato da tre donne nella periferia di Roma, e fatto circolare attraverso i social network in ventiquattr’ore – racconta Nicoletta Guelfi, dell’associazione ‘Punto D di Donna’, attiva nel municipio Roma X – si è così costituito il coordinamento contro la violenza di genere nello stesso quartiere dove Michela era stata uccisa e si è deciso di convocare un’assemblea pubblica per proseguire un’azione di contrasto al femminicidio”.

La cronaca recente racconta di due vittime e un’aggressione con l’acido in tre giorni: Denise, Michela e Lucia. Dopo di loro altre donne hanno perso la vita per mano di un uomo. Tre episodi in poco più di 24 ore: Ilaria, 19 anni, Chiara 27 anni e Alessandra 30 anni trovata morta nello stesso quartiere dove poche settimane prima era stata uccisa Michela. “A quel punto l’assemblea, organizzata all’ospedale Grassi di Ostia, dove Michela lavorava e dove Alessandra è morta, doveva assumere una dimensione nazionale – afferma Virginia Giocoli, avvocato di Punto D – Con adesioni da tutta Italia, tra cui Pangea Onlus, Differenza donna e l’Udi (Unione delle donne italiane), l’obiettivo è diventato quello di condividere una piattaforma di rivendicazioni, a partire dalla ratifica da parte dell’Italia della Convezione di Istanbul”. Ora e subito, insomma, come richiesto nella petizione lanciata da “Ferite a morte, che assume un valore specifico alla luce delle ultime dichiarazioni della presidente della Camera Laura Boldrini e dalle neo ministre Josefa Idem e Cécile Kyenge, per la creazione di un osservatorio sulla violenza contro le donne e lo studio di una legge specifica.

“Al di là delle leggi, il problema è politico e culturale”, afferma Simona Lanzoni della Fondazione Pangea onlus, tra le promotrici della convenzione No More, un documento che individua in quattro P (prevenzione, protezione, persecuzione del reato e del persecutore e promozione di una cultura differente) la strategia per contrastare la violenza di genere. “Alla ratifica di Istanbul devono seguire azioni politiche e culturali per il riconoscimento di questo tipo di violenza nel vivere quotidiano, perché nessuna denuncia cada più nel vuoto, perché le azioni di contrasto e di prevenzione non trovino ostacoli nelle questure al momento della denuncia, negli ospedali al momento del referto. Partiamo da una verifica delle leggi esistenti con le realtà che si occupano di violenza sulle donne da anni, capiamo dove ci sono provvedimenti legislativi che rispondono alla Convezione di Istanbul e dove no e lavoriamo su un indirizzo politico rispetto alle azioni quotidiane che lo Stato deve compiere per contrastare il femminicidio. Poniamoci la domanda: qual è il livello di protezione che ci si aspetta dallo Stato? E rispondiamo, ad esempio, dicendo che non può esistere mediazione familiare quando c’è violenza, come invece previsto dal codice Rocco che però risale agli anni ‘30”.

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