Il fallimento degli Stati non è un avvenimento naturale e inevitabile, ma costituisce l’inevitabile conseguenze delle politiche attuate dalle forze egemoni a livello mondiale. Sottraendo risorse ai popoli e impedendo ogni loro autodeterminazione si creano in modo consapevole le premesse per tale fallimento. Questo costituisce a sua volta la ragione dell’intervento militare e dell’estendersi della guerra a sempre nuove regioni del pianeta. 

Il fondamentalismo islamico, intrecciato con attività criminali e terroristiche di vario genere, rappresenta a sua volta una conseguenza di questa situazione ingovernabile. I fondamentalisti del resto, come occorre sempre ricordare, sono stati inizialmente foraggiati proprio dall’Occidente per opporsi alle ipotesi di liberazione dei Paesi e popoli assoggettati al proprio colonialismo. L’emergere di forze fondamentaliste e terroriste in varie forme costituisce oggi un fenomeno complesso che richiede una risposta a vari livelli. Esistono peraltro precise connessioni sistemiche tra fondamentalismo/terrorismo ed Occidente. Come ha scritto Loretta Napoleoni: “Quello a cui assistiamo oggi è uno scontro fra due sistemi economici, uno dominante e l’altro subordinato” tra i quali esistono peraltro connessioni e complicità precise. Basti pensare che come ricorda tale autrice “gli istituti finanziari occidentali riciclano il grosso del denaro proveniente dall’economia illegale del mondo, circa 1500 miliardi di dollari all’anno”. Se si vuole eliminare il terrorismo occorre quindi procedere a risanare questa sfera. L’intervento militare in realtà invece non risolve nulla, ma crea le condizioni per la perpetuazione e anzi l’aggravamento del problema.

Il fallimento del Mali è solo l’ultimo degli esempi. Si tratta di uno Stato caratterizzato da una pesante eredità del colonialismo, scarsi livelli di democrazia, una frattura su base etnica e religiosa, politiche di rapina della multinazionali. Sono questi i problemi che vanno risolti se si vuole dare una prospettiva alla pace e allo sviluppo. Continuare invece con la politica dell’intervento militare, come ha scelto di fare Hollande, significa solo aggravare i problemi e continuare a scivolare sempre più a fondo nell’abisso della guerra. Occorre fra l’altro rilevare come il precipitare del conflitto in Mali costituisca con ogni evidenza una conseguenza di un altro intervento dagli aspetti molto discutibili, e cioè quello in Libia che, se ha contribuito in modo decisivo alla fine del regime di Gheddafi, ha innescato una serie di altre bombe a tempo contro la pace in tutta la regione.

Dal punto di vista giuridico va ricordato come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2085 del 2012, che dovrebbe costituire il quadro di riferimento dell’intervento, fa riferimento a una forza di pace interafricana e prevede come le questioni relative alla sicurezza debbano costituire un aspetto di un più ampio pacchetto di misure anche e soprattutto di carattere politico.

Se è vero che le forze fondamentaliste hanno violato i diritti umani delle popolazioni del Mali, è pure vero che l’intervento francese sta scatenando, come denunciato da varie organizzazioni, violazioni altrettanto gravi. Si tratta di un meccanismo già visto all’opera altrove. Una spirale di odio e illegalità che occorre rompere.

Del tutto ingiustificabile e contrario all’art. 11 della nostra Costituzione appare in tale quadro ogni partecipazione italiana a questa guerra. Alcune proposte alternative sono state formulate da Flavio Lotti per conto di Rivoluzione civile

Ben altre sono le cose che l’Italia deve fare:

  1. inviare i necessari aiuti umanitari alle centinaia di migliaia di profughi causati dalla guerra;
  2. attivare in tal senso tutte le organizzazioni della società civile che operano nel paese e collaborare con le agenzie umanitarie dell’Onu;
  3. sostenere tutte le forze civili e diplomatiche che stanno operando per ottenere l’immediato cessate il fuoco e creare le condizioni per una soluzione politica. L’intervento dell’Onu deve essere trasparente e slegato dagli interessi delle potenze ex coloniali;
  4. mettere a disposizione delle Nazioni Unite una parte delle forze armate in attuazione dell’art.43 della Carta delle Nazioni Unite.
  5. Dodici anni di guerra in Afghanistan hanno dimostrato che il terrorismo non si vince con la guerra ma con l’intelligenza. È tempo che l’Italia lo riconosca e smetta di consegnare il proprio futuro alla diplomazia delle armi. La credibilità internazionale dell’Italia non dipende dalla sua partecipazione alle più diverse missioni militari ma dalla sua capacità di contribuire fattivamente alla soluzione concreta delle grandi crisi internazionali aperte. Solo così riusciremo a rafforzare davvero la sicurezza del nostro paese”.
Sarebbe in effetti auspicabile che, di fronte all’estendersi degli interventi unilaterali che producono instabilità e conflitto in tutta l’area circostante all’Unione europea, dal Marocco fino alla Siria, sia riaffermata la vigenza dei principi del diritto internazionale, che prevedono il divieto dell’ingerenza negli affari interni degli altri Paesi e l’intervento adeguato, per salvaguardare effettivamente i diritti umani, di forze internazionali dotate di un crisma di imparzialità, nonché la promozione di soluzioni politiche ai conflitti.  Altrimenti si continuerà nel circolo vizioso terrorismo/guerra che alimenta l’uno e l’altra. Del resto la perpetuazione di questa situazione fa comodo alle forze dominanti, che vedono rafforzate le condizioni del loro dominio,
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