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Incandidabilità, il decreto del governo? Punirne tre per salvare gli altri cento

Sono oltre un centinaio i parlamentari indagati, condannati o prescritti seduti in Parlamento. Gli stessi che hanno votato la legge anticorruzione "al ribasso". Di questi con il decreto sull'incandidabilità rinuncerebbero al seggio solo in tre. Potrebbero essere rieletti, tra gli, altri Cosentino, Angelucci e Tedesco
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Sono più di 100 i parlamentari indagati, condannati o prescritti che siedono nel Parlamento italiano. Gli stessi che la scorsa settimana hanno votato una legge anticorruzione “al ribasso”, frutto di un accordo tra partiti, che non danneggerà nessuno di loro. Così come il decreto delegato in materia di incandidabilità allo studio del governo.

Fuori dai Palazzi resteranno solo i condannati con sentenza definitiva e pene superiori ai due anni per reati contro la Pubblica amministrazione, tre per gli altri reati. Sessanta parlamentari sono direttamente salvi perché solo indagati. Tra loro ci sono per esempio Nicola Cosentino (concorso esterno in associazione mafiosa e per falso e riciclaggio), Antonio Angelucci (associazione a delinquere, truffa e falso) e Alberto Tedesco (turbativa d’asta e corruzione).

Ma la nuova legge non impedirà di sedere in Parlamento nemmeno a chi è condannato in primo e secondo grado. Ecco che Silvio Berlusconi, fresco di sentenza Mediaset (4 anni di reclusione per frode fiscale), potrà tranquillamente ripresentarsi alle elezioni magari per una comoda poltrona al Senato. Più difficile capire se si riuscirà a equiparare il patteggiamento a una condanna definitiva, ma sembra difficile. Esemplare, in quel caso, la ricandidabilità che otterrebbe Antonio Del Pennino, che ha patteggiato sia per le tangenti Enimont sia per quelle della metropolitana milanese. Se invece si leggono le 21 condanne definitive, escludendo gli ex radicali Rita Bernardini e Benedetto Della Vedova (cessione di hashish in campagne di disobbedienza civile) e Giancarlo Lehner (diffamazione), non mancano le sorprese: le maglie del decreto sono talmente larghe che non lasciano a casa quasi nessuno: o perché la pena non supera i 2 anni, o perché il reato non rientra fra quelli previsti per l’ineleggibilità.

Non sarebbe incandidabile Massimo Maria Berruti (Pdl, 8 mesi: favoreggiamento). Non Umberto Bossi (Ln, 8 mesi finanziamento illecito, 1 anno istigazione a delinquere, 16 mesi indultati oltraggio alla bandiera). Non, per un soffio, Aldo Brancher (Pdl, 2 anni: ricettazione e appropriazione indebita). Non Giulio Camber (Pdl, 8 mesi: millantato credito). Non Enzo Carra (Udc, 16 mesi: false dichiarazioni al pm). Non Marcello de Angelis (Pdl, 5 anni: associazione sovversiva e banda armata, ma è roba vecchia ed estinta). Non Marcello Dell’Utri (Pdl, 2 anni e mezzo patteggiati: false fatture e falso in bilancio). Non Renato Farina (Pdl, 6 mesi patteggiati: favoreggiamento in sequestro di persona). Non Giorgio La Malfa (6 mesi: finanziamento illecito). Non Roberto Maroni (Ln, 4 mesi: resistenza a pubblico ufficiale). Non Domenico Nania (Pdl, 7 mesi: lesioni). Non Domenico Naro (Udc, 6 mesi: abuso d’ufficio). Non Domenico Papania (Pd, 2 mesi: abuso d’ufficio). Resterebbe fuori Giuseppe Drago (Udc poi Pdl, 3 anni: appropriazione indebita e peculato), ma si è già dovuto dimettere da deputato perché interdetto dai pubblici uffici. Alla fine la mannaia si abbatterebbe su tre soli senatori, tutti Pdl: Giuseppe Ciarrapico (7 anni e mezzo: ricettazione fallimentare e bancarotta fraudolenta), Salvatore Sciascia (2 anni e mezzo: corruzione) e Antonio Tomassini (3 anni: falso).

Da Il Fatto Quotidiano del 6 novembre 2012

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