Nicola Mancino. Ex ministro dell’Interno del governo di Giuliano Amato, poi presidente del Senato e vicepresidente del Csm, è accusato di falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo che vede imputato Mori per il mancato arresto di Bernardo Provenzano. Rispondendo all’accusa di essere stato chiamato al Viminale per dare seguito alle richieste mafiose, si è difeso affermando di aver chiesto al suo predecessore al Viminale, Vincenzo Scotti, di rimanere al suo posto. Scotti però lo smentisce. E la procura considera più credibile il racconto di quest’ultimo. 

Discrepanze sono emerse anche tra il suo racconto e quello dell’allora guardasigilli Claudio Martelli, in merito ad un incontro del 4 luglio 1992. Martelli dice di aver parlato in quell’occasione di “attività investigativa non autorizzata dei Ros”. Mancino invece ha un ricordo completamente diverso. Per anni ha detto anche di non ricordare di aver incontrato o meno Paolo Borsellino al Viminale il giorno del suo insediamento, il primo luglio ’92. Di quell’incontro parla anche il pentito Gaspare Mutolo. Deponendo al processo Mori, però, Mancino non ha escluso la possibilità di aver effettivamente stretto la mano a Borsellino. Durante l’indagine preliminare sulla trattativa è stato intercettato dalla Dia mentre si consulta con Loris D’Ambrosio, consulente giuridico del Quirinale ora deceduto, in merito all’inchiesta di Palermo. Sulle bobine della Dia sono rimaste impresse anche 4 telefonate in cui Mancino contattava direttamente Napolitano.

Trattativa Stato-mafia: l’accusa e la difesa dei dodici imputati

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