Il Senato si appresta (presumibilmente già domani) ad approvare il disegno di legge “Sallusti” sulla diffamazione, che verrà poi trasmesso alla Camera. Il disegno di legge depenalizza il reato di diffamazione (o meglio elimina le sanzioni della reclusione in caso di diffamazione compiuta da chiunque, ma non quelle pecuniarie e le corrispondenti azioni di fronte al giudice civile) ma introduce pene pecuniarie molto severe (che alcuni emendamenti portano a cinquantamila euro, più il risarcimento del danno, che non potrebbe costare meno di 30 mila euro al “diffamante”), ipotizzando anche sanzioni amministrative quali la sospensione disciplinare o la radiazione del giornalista.

Lasciando da parte per un attimo la retorica del caso e concentrandosi sugli aspetti pratici della vicenda, bisogna comprendere chi sarà favorito dalla nuova norma, e chi ne subirà invece le conseguenze. A sopportare il peso maggiore delle nuove norme  saranno i giornalisti precari, quelli che lavorano senza contratto, gli autori di programmi scomodi che non hanno la copertura legale dell’editore, e che non possono permettersi di pagare parcelle agli avvocati e/o risarcimenti di centinaia di migliaia di euro, e che saranno intimoriti dalla prospettiva di non essere assunti, di non vedersi rinnovato il contratto o di dover pagare per una vita i risarcimenti previsti dalla nuova legge. Chi invece potrà permettersi tutto questo avrà la coscienza tranquilla e il portafoglio in ordine.

Per comprendere ciò che accadrà, basta vedere quello che è successo di recente al giornalista  Corrado Formigli. Il tribunale civile di Torino ha condannato a febbraio di quest’anno la Rai e il giornalista Corrado Formigli a risarcire con cinque milioni di euro Fiat Group Automobiles per il servizio del 2 dicembre 2010 in cui era stata criticata una vettura prodotta dalla casa torinese, in un modo che il giudice ha definito “denigratorio” (condanna poi sospesa). Non risulta peraltro che nel caso di Formigli, diversamente da quanto accaduto con Sallusti, ci sia stato un “pronunciamento” dell’opinione pubblica diretto ad evitare al giornalista una condanna cosi severa. Eppure, con la nuova norma il trend sarà quello: non più querele ma richieste risarcitorie milionarie nei confronti del giornalista, che verranno portate all’attenzione dei giudici civili o penali. 

Per paradossale che possa sembrare la norma che prevede la reclusione, ad oggi, costituisce il “paracadute pratico “più utile per chi è accusato di diffamazione:  i pubblici ministeri infatti, di fronte all’evidente “querelomania” di molti italiani che si sentono offesi per qualsiasi osservazione critica nei propri confronti, archiviano senza tanti complimenti la vicenda, soprattutto quando di mezzo c’è internet.

Il carcere per il giornalista poi  è stato adottato solo in situazioni estreme: da quando è stata approvata la Costituzione i casi noti di carcere per giornalisti (al netto di storie non conosciute)  sono stati più o meno tre: si tratta dei casi di Giovanni Guareschi, di Lino Jannuzzi e, oggi, di Sallusti, a fronte delle centinaia di migliaia di giornalisti che scrivono (o che hanno scritto) sulle diverse testate.

Per non parlare della diffamazione ordinaria: non si conoscono (ma potrei sbagliare) casi noti di reclusione per non-giornalisti. Le cause civili sono lasciate invece alla volontà di chi agisce che può ipotizzare la somma che più gli aggrada nell’atto.

Immaginate l’effetto che può fare in una redazione la notifica di un atto di citazione per diffamazione per un milione di euro nei confronti di un giornalista neo-assunto oppure senza contratto, che si è permesso di criticare il potente di turno.

In questo caso, difficilmente chi ha chiesto un milione di euro si accontenterà poi di chiudere la vicenda con mille euro. Sono le richieste economiche sproporzionate (e non il carcere) che costituiscono il problema delle azioni nei confronti dei giornalisti. E veniamo alle ricadute sul web del DDL “Sallusti”. C’è chi ha sollevato un problema di applicazione al web riproponendo il concetto di “ammazza-blog” in relazione agli emendamenti presentati. Io dubito fortemente che sia cosi. La norma che verrà approvata, si estende già automaticamente al web, in quanto ad essere  modificate non sono solo le norme sulla stampa, ma anche quelle relative agli articoli del codice penale sull’ingiuria e la diffamazione, che si applicano a tutti indistintamente. Quindi, al di là degli emendamenti presentati, il disegno di legge così com’è si applicherà anche al web.

In questo contesto il blogger, l’articolista di una testata non registrata, l’autore di un programma televisivo per il quale l’azienda non ha pensato ad una copertura legale, rischierà  molto di più del giornalista che, avvalendosi della legge sulla stampa in tema di rettifica può evitare la responsabilità o che, protetto dall’editore economicamente “forte, si può permettere di ignorare le richieste risarcitorie.”

Se si introducono queste norme, all’apparenza depenalizzanti ma in realtà “draconiane” nei confronti di tutti, blogger e precari compresi, bisogna dare a tutti la possibilità di evitare la condanna. A questo punto però, invece di  correre ad approvare  una norma “ad Sallustium” ovvero una brutta legge, senza che il Parlamento nel suo complesso abbia avuto la possibilità di discutere sul merito della questione,  sarebbe opportuno effettuare una riflessione ulteriore sul disegno di legge, consentendo all’intero parlamento, una discussione seria sulla riforma della disciplina sulla stampa. Il problema Sallusti, oggetto di una condanna sproporzionata, è facilmente ed immediatamente risolvibile, come del resto già segnalato in sede di audizioni a margine del ddl Sallusti, attraverso la concessione della grazia da parte del Presidente della Repubblica o attraverso  l’applicazione al direttore di misure alternative, quale l’affidamento ai servizi sociali, che impiegherebbe il giornalista per non più di uno o due pomeriggi a settimana in servizi a favore della comunità.

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