Alex Schwazer ha sbagliato. Ha tradito il suo sport, i suoi tifosi, la federazione, le persone che gli vogliono bene. Soprattutto ha tradito se stesso e il suo talento innegabile. Su questo non si discute. Come non si discute il fatto che è sin troppo semplice trovare nel marciatore bolzanino il capro espiatorio su cui riversare il solito buonismo italico da benpensanti un tanto al chilo. Ma c’è ancora bisogno di discutere sulla natura bastarda del doping? Un esempio su tutti: Gianni Petrucci, presidente del Coni (quindi la massima autorità sportiva italiana), che in conferenza stampa ha pensato bene di liquidare il discorso con un laconico “meglio una medaglia in meno che un dopato in più”. Ma va?

E se tra qualche mese ci fosse una persona in meno? Massimo Di Giannantonio, psichiatra dell’università di Chieti: “Il campione olimpico di Pechino 2008 va protetto come uomo dalla famiglia della Federazione di atletica e del Coni, che devono fare una severa distinzione tra l’uomo, appunto, e l’atleta. Condannando il secondo, ma proteggendo il primo in questa fase delicata. Altrimenti si rischia una deriva come nel caso di un altro famoso campione, Marco Pantani”. Già, Marco Pantani. Una ferita ancora aperta.

Come dimenticare il mea culpa di tutto il mondo del ciclismo e dello sport dopo la fine terribile del Pirata? “Lo abbiamo lasciato solo”, “si poteva e doveva fare di più”, “non siamo riusciti ad aiutarlo”: il coro unico dei “pensieri microfonati” batteva sempre sulla stessa nota. Una nota stonata perché fuori tempo massimo. Ecco: con Schwazer è arrivata l’occasione di avere reazioni e comportamenti più maturi, responsabili e meno demagogici (o ipocriti?). Soprattutto perché c’è stato il precedente di Pantani e specie dopo aver analizzato il riflesso quasi pavloviano dell’ex campione, per cui la notizia di esser stato scoperto e l’immediata confessione hanno avuto l’effetto di una liberazione.

Ancora Di Giannantonio: “Il marciatore ha vissuto la gloria di diventare campione olimpico nel 2008, ma nei successivi 4 anni si è caricato di responsabilità fino agli ultimi giorni. Questa enorme aspettativa è andata scontrandosi forse con una forma fisica calante e con avversari più forti”. Da qui, forse, la decisione di barare e il peso sulla coscienza. Che solo l’ammissione della propria colpevolezza in mondovisione ha potuto rimuovere. Ma il “mostro dentro” non va via con un’intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport o al Tg1, con parole e lacrime che non possono lasciare indifferenti.

L’Italia sportiva ha perso il campione Schwazer: ora deve evitare di perdere l’uomo Schwazer. Questo compito spetta alla Federazione, al Coni e a quel che resta dell’atleta bolzanino, che a sua volta per essere aiutato deve sapere aiutare. Deve fare i nomi di chi l’ha consigliato. Deve dire quello che sa e non adombrare ombre e sospetti che hanno tutto il sapore di messaggi subliminali verso chi ha orecchie per intendere. Perché anche per gli atleti dopati vale l’esempio e il precedente di Marco Pantani. Il Pirata si sentì tradito dal ‘suo’ mondo. Ma decise di non tradire. E sbagliò per la seconda volta. Quella peggiore. Qualcuno aiuti Schwazer a non ripetere l’errore.

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