Cattive notizie per l’occupazione Usa (e per il presidente Barack Obama). L’economia americana ha creato in marzo 120mila posti di lavoro. Il dato, comunicato venerdì dal Dipartimento al Lavoro, è il più basso degli ultimi cinque mesi. Nel mese di febbraio, i posti di lavoro creati erano stati 240mila. In lieve diminuzione, sempre secondo il Dipartimento al Lavoro, il tasso di disoccupazione, che passa dall’8,3 per cento all’8,2 per cento: un numero crescente di persone ha infatti abbandonato la ricerca di un posto ed è uscita dal calcolo della forza-lavoro.

Il risultato è nettamente inferiore alle attese. Gli economisti aspettavano che il mese di marzo portasse almeno 200mila nuovi posti di lavoro, confermando un trend di lenta ma stabile crescita. I dati sulle richieste settimanali di sussidio di disoccupazione, pubblicate ieri e giunte ai minimi in quattro anni (calate la settimana scorsa di 6 mila unità, a quota 357 mila), avevano ulteriormente rinfocolato le speranze. Non è andata così, e molti osservatori negli Stati Uniti parlano ora apertamente di “un rallentamento dell’economia”, dopo 25 mesi di crescita continua e 4,1 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi 2 anni.

Un’analisi dei dati pubblicati mostra che i posti creati in marzo nel settore privato sono stati 121mila. Il settore pubblico ha invece eliminato mille posti. L’industria manifatturiera ha creato 37mila posti di lavoro, spinta dall’industria automobilistica, mentre quella dei servizi 89mila. Resta particolarmente forte la crisi nel settore dell’edilizia, dove il tasso di disoccupazione è al 17,2 per cento, il doppio della media nazionale (di qui, secondo Alan Krueger, presidente del Consiglio degli Advisor Economici della Casa Bianca, la bontà della scelta di Barack Obama di “investire nel settore delle infrastrutture”).

II rapporto sul lavoro ha implicazioni importanti sui mercati e sulle politiche della Federal Reserve. Quando, alcuni giorni fa, sono state rese pubbliche le minute della riunione della Fed del 13 marzo (in cui i funzionari della Banca Centrale, di fronte agli ultimi dati sull’occupazione, si mostravano più prudenti sul lancio di nuovi stimoli all’economia), Wall Street aveva immediatamente allargato le proprie perdite. Ma i dati sull’occupazione, con la moderata ripresa dei mesi scorsi, potrebbero portare anche a un aumento dei tassi di interesse a breve termine, e comunque entro il 2014, com’è stato preannunciato da Jeffrey Lacker, presidente della Fed di Richmond.

A breve scadenza, il permanere di milioni di disoccupati promette comunque di riflettersi soprattutto sulla campagna elettorale. Commentando i dati del Dipartimento del Lavoro, la Casa Bianca ha fatto notare che “l’economia continua a risollevarsi dalla crisi peggiore dalla Grande Depressione”, anche se “resta molto lavoro da fare”. Secondo Barack Obama, “è necessario continuare con gli investimenti che rafforzano le economie e gettano le fondamenta per la crescita”. Ma il suo avversario ormai quasi certo, Mitt Romney, non si è lasciato sfuggire l’occasione e ha parlato di dati sul lavoro “deboli e inquietanti… che mostrano che il mercato del lavoro è fermo. Milioni di americani pagano un prezzo elevato per le politiche economiche del presidente Obama. E’ sempre più chiaro che l’economia non funziona e che Obama è a corto di scuse”.

La storia mostra che nessun presidente americano, dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, è stato rieletto con un tasso di disoccupazione superiore al 7,2 per cento. In questo caso, vista la crisi profonda che gli Stati Uniti e il mondo hanno conosciuto a partire dal 2008, gli americani potrebbero fare un’eccezione, e scegliere ancora una volta Obama. “Più che i numeri, quello che qui vale è la percezione”, ha spiegato Nathan Gonzales, economista e vice-direttore del Rothenberg Political Report. In altre parole, quello che nei prossimi mesi conterà sarà la capacità dell’amministrazione Obama di trasmettere il senso di una crescita lenta ma comunque reale, di una tensione verso un cambiamento effettivo nelle condizioni di vita di milioni di americani.

Da questo punto di vista, ha spiegato ancora Gonzales, “più dei dati sul lavoro, conta il prezzo della benzina. Se questo si alza a dismisura, è facile che l’elettore sia portato a pensare che il Paese non stia andando nella giusta direzione”. Benzina e lavoro sono quindi i due veri scogli che la Casa Bianca si trova di fronte nei sette mesi che portano alle elezioni. Se il prezzo della prima sale troppo, se i dati del secondo non salgono a sufficienza, Barack Obama è destinato ad affrontare una difficilissima rielezione.

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