Un mio amico italiano, ma non solo, l’altro giorno mi ha raccontato una storia vera: “Ora non voglio dire che il mio caso è da rivoluzione. Ma questo è un paese dove c’è ancora gente che si gargarizza con espressioni come ‘l’Italia è la patria del diritto”. Allora eccola la patria del diritto.

Ho divorziato a Londra nel millennio scorso. Per registrare il divorzio all’estero, le autorità britanniche forniscono su richiesta una copia conforme con firma del giudice del decreto assoluto che lo sancisce. Dovrebbe bastare? In tutto il mondo sì, ma non in Italia. Prima del decreto assoluto, il giudice inglese emette un ‘decreto nisi‘ che vale sei settimane, per dare alla coppia il tempo di ripensarci. Se nessuno dei due blocca la procedura, il decreto assoluto soprassiede il decreto ‘nisi’ e rende il divorzio definitivo.

All’anagrafe italiana, specificamente quella di Roma, vogliono anche il decreto nisi firmato dal giudice, e quando l’ho chiesto agli inglesi mi hanno guardato come se fossi scemo e mi hanno rispedito il decreto assoluto, cosicché adesso ne ho tre copie, tutte firmate dal giudice che non riesce a capire a che cosa possa servire un decreto la cui funzione è soltanto quella di decadere per far posto a quello definitivo. Nell’Italia, patria del diritto (e tutti discendenti degli antichi romani) manca il concetto di nisi che in latino significa ‘se non’, ‘a meno che’. A meno uno dei due cambi idea. Chiaro?

Insomma, dopo quattro mesi e un viaggio a Londra ancora non sono riuscito a fare accettare all’anagrafe di Roma il fatto indiscutibile che sono divorziato. Nel frattempo il resto d’Europa e del mondo fila avanti come un treno. Forse c’è una lezione?

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