Provate a mettere in fila quattro fatti datati 23 febbraio 2011.

1) Il Giornale, quotidiano vicino al governo italiano, scrive: “Ma andiamo, è dai tempi di Mattei che l’Eni – per fortuna, aggiungerò – si procura risorse da Paesi in prevalenza retti da regimi autoritari. Sarà pure cinismo, ma esiste un rapporto di simmetria tra le enormi risorse naturali e le forme di governo semplificate all’eccesso”. (Si consiglia ai lettori di annotarsi l’espressione “forme di governo semplificate all’eccesso”).

2) Il ministro degli Esteri Franco Frattini dichiara al Corriere della Sera: “Il problema della Libia è che a parte Gheddafi non conosciamo niente altro. (…) In Libia, in Cirenaica, come è noto, ci sono le tribù: noi non abbiamo idea di chi siano quelli delle tribù”. Poi aggiunge: “Sappiamo cosa ci aspetta quando verrà giù il sistema Paese Libia: un’ondata anomala di 2-300 mila emigrati.

3) Su Libero, altro giornale di tendenza filo-governativa, Magdi Allam scrive a proposito dei dittatori arabi: “Abbiamo accettato di tutto e di più pur di ottenere in cambio la garanzia delle forniture del petrolio e del gas, del deposito nelle nostre banche dei fondi sovrani (…) dell’ingresso dei loro capitali nelle nostre aziende in difficoltà”.

4) Il presidente della Pirelli Marco Tronchetti Provera si dimette (senza dire perché) dall’advisory board (il comitato di consulenza) della Libyan Investment Authority, il braccio finanziario di Gheddafi che detiene partecipazioni in società occidentali per circa 70 miliardi di dollari (fanno spicco la quota di maggioranza relativa di Unicredit, prima banca italiana, e ricchi pacchetti in Eni e Finmeccanica, ma anche nella Juventus e nel Financial Times).

Adesso leggete questi quattro elementi alla luce di alcune cifre.

Nel 2010 il prodotto interno lordo della Libia è stimato di circa 70 miliardi di dollari, circa un trentesimo di quello dell’Italia, che ha 60 milioni di abitanti contro 6: quindi il prodotto interno lordo pro-capite della Libia è circa un terzo di quello dell’Italia.

La Libia vende all’Italia (e non solo) petrolio e gas. Gheddafi non ha mai smesso di farlo, neppure agli albori della sua rivoluzione: mandò via gli italiani da Tripoli ma non l’Eni dai suoi pozzi. Negli anni 2007, 2008 e 2009 il regime di Gheddafi ha accumulato un avanzo commerciale con l’Italia di 35 miliardi di dollari. Che cosa ha fatto di tutti quei soldi? Non li ha usati per far stare meglio i sudditi, visto come sono arrabbiati con lui. Invece li ha riportati in Occidente, per esempio li ha usati, in parte, per aiutare la famiglia Agnelli a tenere in piedi la Juventus (non c’è bisogno di conoscere le tribù della Cirenaica per immaginare quanto abbiano gradito, a meno che un giorno Frattini non scopra tribù juventine in qualche oasi libica).

Da quanto sopra esposto si deduce un’ipotesi di modello neocoloniale: il tiranno garantisce all’Occidente le forniture di petrolio, che risultano un po’ care da un po’ di tempo in qua, ma risolve il problema restituendo con la mano sinistra i miliardi di dollari che prende con la destra. Investe nelle aziende occidentali, sempre affamate di capitali (soprattutto in Italia) e compra armi dalle nostre fabbriche specializzate. Le armi gli servono a tenere sotto scacco il suo popolo, e a impedire per esempio che vengano in massa in Italia a cercare di riprendersi quei 35 miliardi di dollari di cui sopra.

Conclusione. La preoccupazione del governo italiano e di quasi tutti gli altri partiti di maggioranza e di opposizione, può avere una spiegazione sintetica. Stiamo perdendo la nostra colonia più preziosa.

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