Francia, l'assassinio del giudice Michel e la pista di Cosa nostra: "Falcone mi disse che voleva indagare, ma poi morì"

Di Martina Castigliani

Un giudice ucciso dalla malavita marsigliese, quattro colpevoli condannati e una parte della storia che nessuno ha mai investigato. Perché chi avrebbe voluto farlo, chi in testa aveva informazioni e connessioni che forse non conosceremo mai, è morto a sua volta. C’è un omicidio in Francia, quello del magistrato Pierre Michel, che si intreccia con la morte di Giovanni Falcone. A rivelarlo, per la prima volta a quasi trentasei anni di distanza, è Michel Debacq, prima uditore del giudice francese e poi collaboratore del collega italiano durante le indagini sulla Pizza Connection: “Falcone mi disse: appena avremo tempo dobbiamo indagare sui mandanti italiani della morte di Michel. Ma quando sono arrivato in Italia lui era già morto e nessuno ha più seguito questa strada”, rivela Debacq a ilfattoquotidiano.it. La pista è quella che porta al gruppo mafioso guidato dal boss di Cosa nostra Gerlando Alberti (U’ Paccarè, l’imperturbabile), arrestato grazie alle indagini di Michel nell’estate del 1980. “La vendetta è l’ipotesi che nessuno ha mai preso in considerazione. Per la Francia di quegli anni, la mafia era solo un romanzo”. Debacq è pure il primo a interrogare il pentito di Cosa nostra Antonino Calderone: “Anche lui mi confermò che in quell’omicidio vedeva le mani della mafia italiana”. Il giudice “ragazzino” (38 anni) è morto mentre indagava sulla rinascita della French Connection, ovvero il network di traffico di eroina tra Marsiglia, Usa e Italia: 70 i criminali arrestati e 6 i laboratori di raffinazione della morfina di base smantellati nella sua carriera. Mandanti e colpevoli della morte del magistrato francese sono stati condannati nel 1988. Ma nessuno nelle aule giudiziarie ha mai preso in considerazione le implicazioni della mafia italiana.

Il ritrovamento del corpo del giudice Michel - Fotogramma tratto dal telegiornale di France 2 (21 ottobre 1981)

L'AGGUATO IN MOTO ALL'ORA DI PRANZO

Michel muore il 21 ottobre 1981. E’ il secondo e ultimo giudice a morire assassinato in Francia dal dopoguerra (il primo era stato François Renaud a Lione nel 1975, i responsabili non sono mai stati individuati). Quel giorno il giudice istruttore arriva nell’ufficio del tribunale di Marsiglia poco prima dell’ora di pranzo. Debacq, che fa l’uditore di giustizia, lo ferma: “Ha chiamato vostra figlia Beatrice”. Lui fa un segno con la testa e, come ogni mercoledì, torna a casa per pranzare con la famiglia. Prende la sua Honda parcheggiata davanti all’ingresso, quindi parte: sono da poco passate le 12 e 30, c’è traffico, e non si accorge di una moto rossa con a bordo due uomini con il casco integrale che lo segue a distanza. Quando sono davanti al 280 di boulevard Michelet, a pochi passi da casa e mentre intorno sfrecciano le macchine, la moto rossa lo affianca: uno dei due uomini estrae una pistola e a 50 centimetri di distanza dalla testa spara per tre volte. La giustizia stabilirà che i colpevoli sono tutti criminali legati al traffico di droga: a tirare è stato François Checchi, mentre Charles Altieri guidava. I mandanti sono François Girard e Homère Filippi.

Il ritrovamento del corpo del giudice Michel - Fotogramma tratto dal telegiornale di France 2 (21 ottobre 1981)

LA PISTA SICILIANA DIMENTICATA

Il quadro viene chiuso in tribunale nel 1988, ma non per tutti. Debacq, che ora è giudice della Corte di Cassazione e che in passato è stato capo dell’anti-terrorismo a Parigi, ricorda le parole di Falcone e riporta alla memoria una delle indagini più importanti di Michel. L’episodio risale all’estate 1980. Il giudice istruttore francese arriva in Sicilia a fine luglio per dare la caccia a tre marsigliesi: Daniel Bozzi, Dominique Quilichini e Jean-Claude Ranem. I tre, accusati di essere criminali attivi nel traffico di droga, alloggiano all’hotel Riva Smeralda a Carini (vicino a Palermo) e il sospetto è che siano in Italia per stringere rapporti con Cosa nostra. I francesi scoprono che sull’isola c’è anche André Bousquet, pediatra noto per essere uno dei chimici più esperti per la produzione di eroina e conosciuto come “dottor morte”. La situazione in Italia è molto tesa: il 6 agosto Cosa nostra uccide il giudice Gaetano Costa. I francesi continuano le loro indagini finché il 25 agosto fanno irruzione a Carini e Sant’Onofrio di Trabia: qui trovano non solo il laboratorio di eroina che cercavano, ma anche Gerlando Alberti, il boss affiliato alla potente famiglia di Porta Nuova. Tre giorni dopo, Carmelo Iannì, proprietario dell’hotel, viene ucciso su mandato di Alberti: ha concesso alla polizia di infiltrarsi nell’albergo e l’arresto del boss deve essere vendicato.

Il procuratore Giusto Schiacchitano, come ricordano Jean-Marie Pontaut e Eric Pelletier nel libro Chi ha ucciso il giudice Michel?, dirà nella sua requisitoria: “Per la prima volta è stata dimostrata la reale partecipazione della mafia a questo traffico, per la prima volta è stato provato un legame tra la Mafia siciliana e i trafficanti marsigliesi”. Il meccanismo lo spiega oggi Debacq: “Per i marsigliesi era diventato impossibile costruire nuovi laboratori in Francia. In compenso per anni, dietro le spalle dei magistrati, in Sicilia sono fioriti spazi dove veniva prodotta l’eroina senza che ci fossero problemi. Inoltre Cosa nostra ha da subito un vantaggio: il controllo del territorio. Nessuno si permetteva di parlare. E’ Michel a portare gli investigatori italiani, e in un primo momento soprattutto la Guardia di finanza, su quel terreno”.

"FALCONE VOLEVA INDAGARE. MA E' MORTO E L'ITALIA E' CAMBIATA"

Questa è, secondo Debacq, la pista italiana su cui nessuno ha lavorato e che Falcone aveva in mente: la vendetta del gruppo di Alberti per l’arresto a firma di Michel. Nel ‘93 Debacq diventa magistrato di collegamento a Roma, ma Falcone è morto un anno prima, ucciso da Cosa nostra. “Era lui a tenere personalmente i contatti con i magistrati all’estero. Quindi quando io arrivo in Italia e comincio a informarmi sulla questione, nessuno ne sa niente. Tutti mi dicono: era Falcone a occuparsene. Sapeva qualcosa Sciacchitano, ma quando lo incontro è sfinito: Giovanni era appena morto, l’Italia era cambiata”. Debacq ha una domanda per i colleghi italiani: “Qualcuno ha mai chiesto la copia degli interrogatori di Michel a Marsiglia o dei suoi report sulla Sicilia? Io partirei da lì. Da tutti i nomi che vengono citati e dai contatti che aveva avuto”. Il giudice racconta di come il clan Porta Nuova fosse andato in Francia a cercare di creare legami con i chimici marsigliesi per produrre la “bianca”, ovvero l’eroina purissima.

"ANCHE PER IL PENTITO CALDERONE L'IMPRONTA DELLA MAFIA ITALIANA NELL'OMICIDIO ERA CHIARA"

Debacq è anche il giudice che ferma uno dei più famosi pentiti di Cosa nostra: Antonino Calderone. “L’arresto avviene nel 1986 per una faccenda di assegni a vuoto. Sua moglie Margherita, un’infermiera, una donna distinta, chiede di vedermi e una sera nel mio ufficio mi dice: ‘Signor giudice, dovete chiamare Falcone e dirgli che mio marito vuole parlargli’”. Così Debacq ha fatto: “Quando l’ho riferito a Giovanni, dall’altra parte della cornetta ho sentito il silenzio e ho pensato che fosse caduto dalla sedia. Poi si è messo a sfogliare l’agenda: ‘Vengo dopodomani’, ha detto”. Calderone parla e inizia a parlare con Debacq: “Tra le tante cose che ha confessato”, racconta il giudice, “c’erano anche le sue impressioni sull’omicidio di Michel. Per lui era chiaro che c’era una matrice mafiosa, un coinvolgimento della mafia italiana nell’omicidio. Si era offerto per sentire cosa dicessero i criminali in carcere, ma non portò a casa niente: tra i detenuti si era diffusa la voce che non bisognava parlare della morte di Pierre Michel”.

Debacq la chiama una “coproduzione” tra marsigliesi e siciliani: “Il piano piace a più parti e allora lo condividono. Il risultato è che se sul lato francese più o meno siamo arrivati a individuare i responsabili, su quello italiano c’è il black-out totale. Io sono sempre stato molto triste per la morte di Falcone: insieme avremmo potuto fare qualcosa sulla morte di Michel”. Perché nessuno ha aperto un’inchiesta sul gruppo di Alberti? “Era troppo difficile”, dice Debacq. I problemi sono due: una cooperazione tra le magistrature dei due Paesi che era agli albori e una scarsa conoscenza del fenomeno mafioso al di fuori dell’Italia. “Per la procura di Marsiglia la morte di un giudice era un caso molto complicato. E quando si è aperta la pista francese erano molto contenti: avevano paura che non sarebbero mai arrivati a una soluzione. E poi credevano ancora che la mafia fosse un ‘romanzo’, che non esistesse”. Nessuno, almeno in quegli anni, dal lato francese avrebbe mai immaginato che ci potesse essere una forza criminale capace di superare i confini nazionali e uccidere un giudice. E nessuno ha mai cercato di dimostrarlo.

Il luogo dove è stato ucciso il giudice Michel a Marsiglia (280, Boulevard Michelet)

UN PROCESSO E QUATTRO COLPEVOLI

L’inchiesta sulla morte di Michel fatica a decollare. L’unica traccia è un’impronta trovata su un adesivo della moto: non esistono ancora gli archivi digitali e la polizia mette uno dei suoi uomini ad esaminare migliaia di impronte. Trovano un nome: Charles Giardina, meccanico. E’ lui che dà a sua volta la moto dell’omicidio a Gilbert Ciaramaglia, un criminale comune che ha rapporti, come tutti nell’ambiente, con uno dei più potenti sul territorio: Gaetan Zampa detto “tany”, padrino di origini napoletane e con buoni rapporti con Cosa nostra. Per mesi le informazioni non vanno oltre queste tre connessioni. C’è un collegamento che viene ipotizzato dal giudice Patrick Guérin: nel luglio 1981 Michel ha scoperto e smantellato un laboratorio a Saint-Maximin (Var). Qui viene trovato uno dei nomi più importanti nell’ambito del traffico di droga a Marsiglia, Homère Filippi. Ma non solo: sopra un pacchetto di sigarette c’è il numero di telefono di Zampa. Tutto sembra portare al parrain: viene arrestato, ma per otto mesi nessuno lo interroga sull’omicidio. Nel mentre gli vengono sequestrati tutti i beni per altre indagini in cui è coinvolto: lui vede lentamente il suo impero crollare. Zampa si uccide in carcere nell’agosto 1984. “Nessuno ha mai avuto dubbi che sia stato un atto volontario”, dice Debacq. Quando ormai sembra che l’indagine sia bloccata, viene scoperto un laboratorio a Friburgo (Svizzera). E qui due uomini della banda, Philippe Wiesgrill e François Scapula, cominciano a parlare dell’omicidio di Michel. Sono quattro i nomi messi sotto accusa: i mandanti François Girard e Homère Filippi, gli esecutori Charles Altieri (pilota della moto) e François Checchi (l’uomo che ha sparato). Tutti vengono condannati nel 1988 all’ergastolo: Altieri in fuga, verrà fermato nel 1993, Filippi non è mai stato trovato. “Altieri e Girard erano stati in Sicilia”, ribadisce Debacq. “Ho lavorato autonomamente sulla questione e so che almeno loro erano stati in Italia”. I tre attualmente sono in libertà condizionale.

FALCONE ALLA COMMEMORAZIONE: "POTREBBE SUCCEDERE ANCHE A ME"

Mentre la giustizia marsigliese cerca i responsabili dell’omicidio di Pierre Michel, le inchieste su quello che resta della French Connection continuano. Michel Debacq, non più semplice uditore, è il giudice istruttore che segue le indagini sulla Pizza Connection: “Ho lavorato a lungo in collaborazione con Giovanni Falcone sul traffico di droga. I marsigliesi si occupavano del trasporto e usavano i negozi di alimentari o ristoranti come copertura. Insieme andavamo negli Usa per le rogatorie”. Ed è in quel periodo che, ricorda Debacq, Falcone viene a Marsiglia e parla della morte di Michel. “Era l’autunno dell’86. Giovanni doveva venire in Francia e io lo avviso che il 21 ottobre saremmo stati impegnati per la commemorazione dei cinque anni dall’omicidio del giudice. Lui mi chiede di partecipare e naturalmente lo ospitiamo. Era rimasto molto toccato da quella morte. Mi disse: ‘Era un uomo buono. Può succedere anche a me o a te una cosa del genere’. Ma io ho capito che parlava di se stesso”. Giovanni Falcone sarebbe morto sei anni dopo.

Il senso di ammirazione del giudice italiano non era scontato. Già pochi mesi dopo l’uccisione di Michel, cominciano a emergere accuse e diffamazioni sul suo conto. “Il milieu di Marsiglia”, dice Debacq, “è molto potente: Michel è stato come Attila e i criminali reagiscono”. Le voci che vengono messe in giro riguardano i metodi di inchiesta (“Andava troppo oltre”) e presunti vizi della vita privata. Fa molto discutere la scelta, inedita per il tempo, di mettere in prigione le mogli dei criminali: per prassi a Marsiglia non si faceva. “Ricordo”, spiega Debacq, “che una delle giudici che lavorava con Michel, Marie Viengali, mi disse: ‘Con noi non esistono uomini o donne, ma solo colpevoli o innocenti’. Quello era l’ambiente”. Un film, La French, uscito nel 2014, dà per vere molte delle critiche: “E’ pieno di sciocchezze e noi colleghi lo abbiamo demolito”, commenta Debacq. Un’altra delle accuse riguarda i legami con la politica e in particolare il partito socialista. “Lui era di sinistra, ma sul lavoro era considerato apolitico. Questa è una caratteristica che me lo fa accomunare a Falcone: conosceva tutti i politici, ma nel momento in cui entrava in ufficio non conosceva più nessuno”. C’è per esempio l’episodio di quando Mitzigar Nazarian, arrestato durante la perquisizione al laboratorio di Saint-Maximin disse al poliziotto: “Io sono uno dei vostri, ho la tessera del partito socialista”. Debacq ricorda: “Il poliziotto rispose: ‘Bene, me la dia che la sequestro’”. Nazarian aveva un fratello che era nel cabinet del sindaco socialista Gaston Defferre e che va a piangere per l’arresto del parente: “Il sindaco lo caccia. Lui era così: quando i suoi amici del milieu gli davano fastidio lui li cacciava”. La politica cercava contatti diretti o indiretti con Michel, ma invano.

36 anni dopo quel 21 ottobre 1981, i principali protagonisti di questa storia sono morti: non c'è più Zampa, impiccato in cella; non c'è più Filippi, che non è mai stato trovato e si dice sia stato ucciso in un regolamento di conti; non c'è più Gerlando Alberti, morto di vecchiaia mentre era ai domiciliari nella sua casa di Palermo; non c'è più il giudice Giovanni Falcone, forse l'unico intenzionato ad aprire un'altra inchiesta sui mandanti italiani dell'omicidio di Pierre Michel. "Non credo che questa storia interessi più nessuno", chiude Debacq.

Panoramica dalla stazione Saint-Charles a Marsiglia

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