“Ho fatto un lungo viaggio in giro per il mondo. In Belgio, dopo tre anni di lavoro nella stessa società hai diritto a 12 mesi di pausa-carriera”. La chiacchierata con Valeria Spaziano inizia con l’elenco dei paesi che ha appena visitato: Australia, Nuova Zelanda, Fiji, Filippine, Vietnam, Cambogia, Laos, Indonesia, Israele, Palestina e Giordania. “Dopo quattro anni di lavoro/sopravvivenza a Milano ho deciso di espatriare: in Italia non ci tornerei nemmeno se mi raddoppiassero lo stipendio”. Ha 36 anni Valeria, e da sei lavora come ingegnere informatico a Bruxelles. “Mi manca la mia famiglia ma tanto non la vedevo neppure quando vivevo a Milano”. Infatti, dieci anni fa da Marzano Appio, paesino di duemila abitanti a nord di Caserta, appena avuta tra le mani una laurea in ingegneria informatica presa alla Federico II di Napoli, Valeria è stata costretta a prendere un treno notturno (“l’unico che non costava una fortuna”) per cercare lavoro a Milano. A quei tempi la giovane campana lavorava nel capoluogo meneghino per 1.200 euro al mese. “Condividevo l’appartamento ma arrivavo a fine mese sempre col conto in pari, se non in rosso”. Eppure, non era solo di un problema di soldi. “Mi piaceva molto viaggiare ma avevo grossi problemi a prendermi giorni di ferie, seppure mi spettassero di diritto”.

A Milano guadagnavo 1200 euro e condividevo l’appartamento. Ma arrivavo a fine mese sempre col conto in pari, se non in rosso

Alcune scelte si prendono confrontandosi con quanto ci circonda, come quando scopri, andando in vacanza, “che il tuo inglese è sempre al di sotto della media”. Alcune volte, poi, è più facile quando il salto nel vuoto lo fai in due. “Dopo quattro anni passati a Milano insieme al mio ex compagno, anche lui ingegnere informatico, abbiamo decido di andare a vivere all’estero, con l’obiettivo almeno di migliorare il nostro inglese. Direzione Irlanda o Regno Unito”. La prima mossa è stata semplice: caricare il curriculum su Monster – che mette in contatto professionisti e aziende in giro per il mondo. Peccato che la prima offerta di lavoro non sia arrivata da Londra ma da Bruxelles. “Penso: ‘No, il Belgio no. Poi decido di andare al colloquio, che a dire di no si fa sempre in tempo, e dopo una settimana ricevo un’offerta di lavoro”. Ma un progetto iniziato in due come si fa a concludere da soli? Così l’ingegnere allora trentenne spiega ai futuri datori di lavoro che non si sarebbe trasferita senza il compagno. “Fu così che ci proposero di assumerci entrambi. Lo so che sembra incredibile, ma è andata così”.

È triste rendersi conto che fare il cameriere a Bruxelles ti assicura un futuro migliore che svolgere la tua professione in Italia

Da sei anni Valeria lavora a Bruxelles come esperta in tecnologia Java Enterprise, ovvero come sviluppatrice software. “La prima cosa che ha notato quando sono arrivata in Belgio è stata l’età dei manager. Io avevo 30 anni e il mio responsabile era più piccolo di me. Se penso ai manager italiani non me ne ricordo neppure uno che non fosse brizzolato”. Poi, due anni fa la scelta di tornare a fare le valigie e vivere un anno in giro per il mondo. “In Belgio hai diritto a 12 mesi di assenza dopo cinque anni che vivi nel Paese e tre che lavori per la stessa società. C’è un modulo in cui il datore di lavoro si impegna a riprendere il dipendente dopo l’assenza”. Eccola quindi partire per il suo anno sabbatico lontano dall’Europa: il sito couchsurfing l’ha aiutata ad essere ospitata mentre con Findacrew ha trovato un lavoretto su un’imbarcazione, HelpX le ha fatto scoprire progetti di beneficenza lungo il cammino mentre Workaway l’ha aiutata ad avere lavori passeggeri. “In Australia ho incontrato moltissimi 19enni tedeschi che lavoravano nelle fattorie mentre nel sud est asiatico tanti belgi e americani che insegnavano inglese. E pensare che io, alla loro età, a mala pena prendevo il treno per andare a Napoli”.

La frase che ho sul monitor in ufficio è ‘Quanta vita ti stanno costando i tuoi soldi?’. E una volta finito alle 17.30 mi godo il resto della giornata

Partita per migliorare il suo inglese, la vita lontana dal Belpaese le è piaciuta tanto da scegliere di non tornare più. “Non credo che in Italia esista una città dove tutti possono permettersi di andare in ufficio a piedi o con poche fermate di metro, dove se si vive a più di cinque chilometri dal posto di lavoro si ha diritto all’80% del rimborso dei mezzi di trasporto, dove se a lavoro ci vai a piedi o in bicicletta ti danno 10 centesimi per ogni chilometro percorso”. Ma se anche questa città in Italia esistesse, quel che per Valeria sarebbe comunque impagabile della sua nuova vita è l’importanza che a Bruxelles viene data alle attività dopo il lavoro. “La frase che ho sul monitor in ufficio è ‘Quanta vita ti stanno costando i tuoi soldi?‘, per ricordarmi di spegnere il computer alle 17:30 e iniziare a godermi il resto della giornata. D’altronde, a Bruxelles alle 17:30 si è tutti fuori per andare a corsi o per bere una birra”. Forse, quanto la qualità della vita migliora, allora ci si concede anche la possibilità di prendersi cura del proprio tempo libero. “Vado a concerti, a yoga, a bere con gli amici, a incontri di volontariato o semplicemente in un parco a leggere un libro. Pensa che in Belgio se frequenti un corso presso un ente riconosciuto, che sia di lingua, fotografia o altro, hai diritto a dieci giorni di congedo per studio retribuiti dal governo”. Non a caso, Valeria ha studiato francese, inglese, olandese, spagnolo e sta iniziando l’arabo. “È triste rendersi conto che fare il cameriere a Bruxelles ti assicura un futuro migliore che svolgere la tua professione in Italia”.

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Nato in Marocco, cresciuto in Piemonte ma il lavoro è a Bruxelles: ‘In Italia abbiamo tutto, peccato’

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