SING STREET di John Carney. Con Ferdia Walsh-Peelo, Mark McKenna, Kelly Thornton. (Irlanda, 2016) Durata: 106’ Voto 4/5 (DT)

Dublino, 1985. Duran Duran, Cure e Joy Division risuonano in walkman e mangianastri degli adolescenti che frequentano le più povere scuole cattoliche. Tra loro c’è Conor, timido ma intraprendente studentello, famigliola non proprio abbiente e fratellone discomaniaco modello Philip Seymour Hoffman in Almost Famous, che vuole formare una band. Di mezzo ci sono comunque gli occhioni dolci di Raphina, improvvisata Madonna alla Cercasi Susan disperatamente. Con l’aiuto dell’occhialuto vulcanico coetaneo chitarrista Eamon metterà in piedi il gruppo Sing Street: cinque piccoletti implumi, bomba new wave dal glam alla The Jam e foga alla Joe Jackson, che si girano perfino da soli in Vhs gli arrembanti video che stavano diventando moda.

Miracoloso e portentoso (auto)biopic strabordante, accordi al piano e riff di chitarra firmato da John Carney che già con Once e Tutto può cambiare ci aveva fatto comprendere come i suoi film fossero posseduti dal sacro demone della musica, forse ancor prima di quello del cinema. L’elemento drammaturgico che solitamente soggiace ai film di formazione adolescenziale slitta dal piano della dolenza familiare/bullismo/pena d’amore alla calibrata misura compositiva delle partiture originali per la band  (scritte da Carney stesso) e nella relativa esecuzione live. Il risultato rasenta il capolavoro con il sound che ti trascina per “le palle” e ti sbatte contro la possibilità (illusione o utopia?) per Conor di potersi scrivere e prendere di petto il proprio futuro. Quando l’X Factor era naturale e non aveva bisogno dell’artificio illusorio dello showbiz. Da vedere, magari in originale e con una bella cuffia stereo vintage sulle orecchie.

Film in uscita al cinema, cosa vedere (e non) nel fine settimana del 12 e 13 novembre

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