Cultura

Arte e design, dal vetro alla ceramica: il saper fare italiano a New York. “Oggi il bello non ci stupisce più: resistiamo”

"Piercing Eyes" dal 9 al 16 dicembre alla Stillfried Wien di Manhattan. Una collettiva firmata da "artieri", perché l'arte la fanno di mestiere. La curatrice Ruggiero: "Opere e oggetti di design racchiudono un’indiscussa bellezza che li rende qualcosa che va oltre la funzione pratica a cui la cultura consumistica dell’usa e getta ci ha abituati"

di Eva Nuti

Non si possono chiamare artisti e nemmeno “solo” artigiani. Tra di loro qualcuno si definisce “artiere” perché l’arte la fa di mestiere, con quelle mani che hanno imparato dal padre e il 'Sfera Blu' di Luca Schiavonpadre dal nonno e così via. Fino a centinaia d’anni addietro. E quella materia che toccano, plasmano, annusano e sentono, la conoscono bene. La studiano, la osservano, ci giocano e ogni volta si spingono più avanti, scorgono il limite delle possibilità espressive e lo percorrono. Sperimentano all’infinito, per vedere fin dove si può arrivare e mostrare che cosa un pezzo di ceramica può Ilaria Ruggiero, curatrice della mostra 'Piercing Eyes' a New Yorkraccontare o quali emozioni una sfumatura di colore può lasciare. E’ il “saper fare” italiano, le tecniche artigiane più antiche e la creatività più sorprendente che è di scena dal 9 al 16 dicembre alla Stillfried Wien di New York, una delle più interessanti gallerie di design di Tribeca, a Manhattan. “Piercing Eyes | Distilled art pieces (questo il nome della mostra, ndr) è la naturale evoluzione di un percorso che ci ha portato a ricercare e selezionare professionalità artistiche con una forte connotazione artigianale – spiega Ilaria Ruggiero, curatrice dell’evento insieme a Shana Forlani – E’ in questa ottica che gli antichi stampi per la ceramica di Nove (vicino a Bassano del Grappa), che nel Settecento riforniva la maggior parte delle corti europee superando di gran lunga la produzione della più famosa Faenza, oggi tornano a nuova vita.

Polloniato e la ceramica: “Ragiono come un artista con le mani di un artigiano”
A recuperarli dai laboratori ormai chiusi e dimenticati è Paolo Polloniato, figlio d’arte con alle spalle una lunghissima tradizione familiare, studi all’Accademia di Belle Arti e varie specializzazioni. “A volte mi sento un po’ un hacker – confessa – perché mi prendo una certa libertà dadaista, se vogliamo, nel trasformare un oggetto, toglierne una funzione e attribuirgliene un’altra. Io non voglio inventare niente; mai nessuno potrà modellare una mano in ceramica meglio di mio padre ed il mio compito, quello che la ceramica mi ha chiamato a fare, è di ripensarla nel contesto attuale, nella liquidità dei nostri giorni in cui tutto è contaminazione. Io ragiono come un artista ma lavoro con le mani come un artigiano, l’arte oggi ha paura del design ma è un atteggiamento del tutto sbagliato. Gli studi accademici mi hanno permesso di saper leggere il nostro tempo e poter dare nuova e attuale collocazione, e dunque significato, all’oggetto nato da uno stampo settecentesco. Io la chiamo la ‘nuova estetica‘”.

Il “design dell’inutile” con il vetro di Crestani
'Molecolar Study' di Simone CrestaniA fianco del gioco delle funzioni di Polloniato, le forme leggere e trasparenti del vetro di Simone Crestani si dimenticano di una qualsivoglia funzionalità. “Io non cerco la funzione, non mi interessa” ammette candidamente, mentre con un certo orgoglio definisce le sue opere “il design dell’inutile“. “Io amo il vetro, è la mia vita – continua Crestani – Con il vetro io gioco e al vetro lancio una sfida, sono sempre al limite del controllo e quando raggiungo una forma, quando penso che il mo pezzo sia finito, ci torno sopra deformandolo, perché a me la perfezione non mi piace. A volte quando lavoro con altri artisti, mi accorgo che mi guardano con un certo scetticismo, ma io non sono folle, so esattamente quello che faccio e dove voglio arrivare. Io il vetro lo conosco bene, ed è la sua fragilità che mi attrae, per questo forzo sempre di più la sua tenuta fino a rasentare l’impossibile, Molecolar study è un esempio di questo equilibrismo”.

Il ritorno dell’impagliata in ceramica con Lidia Carlini
'JO-VA Carafe' di Lidia CarliniTra sogno e concretezza, tra opere concettuali e design di oggetti più riconoscibili e pronti all’uso quotidiano. “Il filo conduttore che lega le opere e gli oggetti di design in mostra, sicuramente molto eterogenei, è il loro valore, anzi, il compendio dei valori estetici, culturali e di sostenibilità – precisa la curatrice Ilaria Ruggiero – perché racchiudono in sé un’indiscussa e riconoscibile bellezza che li rende qualcosa che va oltre la funzione pratica e oltre il qui ed ora a cui la cultura consumistica dell’usa e getta ci ha abituati”. E’ il caso, ad esempio, di Lidia Carlini che ha riportato in auge la tradizione dell’impagliata, un servizio in ceramica con stoviglie impilate che veniva donato alle neo mamme nel Cinquecento e nel Seicento. Lo scopo era quello di contenere il primo pasto dopo il parto e per questo i piatti erano di diversa forma (ciotola per la zuppa, poi piatto per la carne, poi portauovo e così via fino ad arrivare ai bicchieri). Il servizio veniva poi conservato come ricordo della nascita. Nel tempo la tradizione si è persa, per quanto un esemplare di impagliata sia stato donato a lady Diana Spencer dalla città di Faenza in occasione della nascita del principe William. Lidia Carlini ha attualizzato questo oggetto componendo vari servizi per diverse tipologie di consumatori (la coppia, i single, i vegani, l’aperitivo tra amici…) abbinando le forme anche alle necessita d’uso.

Igor Balbi, l’unico al mondo che soffia il vetro a lume
Sicuramente un posto di riguardo lo merita Igor Balbi, artista del vetro di fama internazionale, artefice ed inventore di una tecnica unica in tutto il mondo che consiste nel soffiare il vetro a lume anziché utilizzando il forno. Ma il vero merito di questa tecnica – precisa Igor -, benché rivoluzionaria, è nel far ‘parlare il vetro’, nel riuscire ad ottenere colori che, per così dire, escono solo grazie all’interazione tra vetri diversi, che poi sono i colori che io vedo nel mondo, la mattina quando da casa vado nel mio laboratorio. Igor viene da una famiglia di maestri vetrai di Murano e in lui la tradizione intrecciata con la passione è fortissima. “Mio figlio Italo si chiama come mio padre, ma al di là del nome, quello che vorrei trasmettere più di ogni altra cosa è l’amore per il mio lavoro, è stato solamente per questo amore per il vetro che ho scoperto la tecnica a lume: io non ho fatto altro che seguire il mio istinto, la mia strada.”

“La bellezza non ci stupisce più. Ma noi resistiamo”
Serie di vasi 'Voluttuosa' (dettaglio) - di Luciano LaghiMa se l’arte è italiana e l’artigianato ancora di più, perché New York? “A volte ho l’impressione che la troppa bellezza ci abbia assopito, non riusciamo più a stupirci di fronte a un’opera d’arte – risponde Igor – Il 75 per cento dei miei clienti è americano, le scuole e i musei più importanti sono negli Usa, mentre a Venezia non c’è una scuola del vetro”. I veri maestri vetrai di Murano sono rimasti sull’isola, “noi cerchiamo di resistere, anche se non si può negare un fatto: quindici anni fa eravamo millenovecento nella sola Murano, oggi solo 63”. Come si esce da questo declino? “Continuando a fare le cose fatte bene, meglio degli altri. Noi italiani siamo bravi in questo, non dimentichiamolo”. E le istituzioni? Igor indugia e poi risponde: “Murano ebbe una crescita enorme sotto la Serenissima, ma c’erano delle politiche socioeconomiche molto consistenti a sostegno dell’arte del vetro”.

I piercing eyes che cercano poesia nella quotidianità
'Reef Ring' di Maria DianaDalle sue parole non traspare un’accusa diretta, ma una grande amarezza, quello sì. I Piercing eyes sono gli occhi che sanno cogliere, quelli degli artisti, ma anche di chi guarda e apprezza le loro opere, di chi sa riconoscere il valore dietro un oggetto. E’ uno sguardo che perfora, ricerca e distilla la poesia dietro la quotidianità. “La fascinazione dell’oggetto artigianale deriva dal fatto che è passato per le mani di qualcuno che vi ha lasciato un segno col suo lavoro – disse il filosofo francese Jean Baudrillard – E’ la fascinazione di ciò che è stato creato e che per questo è unico, dal momento che il ‘momento’ della creazione è irripetibile”.

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