Negli ultimi giorni, Angela Merkel e François Hollande hanno invocato “più Europa” per affrontare la crisi in corso dell’arrivo massiccio di rifugiati da paesi dove imperversano conflitti e persecuzioni e di migranti dai tanti paesi in Africa o in Asia dove regna sovrana l’ingiustizia sociale e la miseria delle moltitudini.

Distrutto il villaggio di migranti situato a Ventimiglia al confine con la Francia

Purtroppo, i signori dell’Europa non si sono spinti fino a prendere alcun impegno chiaro per lanciare la rifondazione delle relazioni internazionali e distanziarsi dall’attuale assetto politico, economico e militare internazionale, particolarmente aggressivo e distruttivo, e costruire rapporti più giusti, equilibrati e sostenibili con i paesi extra-europei da cui provengono i flussi migratori. Senza ciò, e fintanto che guerre alquanto discutibili, dal punto di vista della legalità internazionale, della Costituzione, della morale e del buon senso, a cui anche l’Italia continua a partecipare, continueranno a devastare i paesi e le vite degli altri, sarà infatti semplicemente impossibile avere un impatto sociale ed economico positivo sui Paesi in via di sviluppo e dunque anche solo rallentare la progressione delle migrazioni. Tanto più che esse rappresentano un business colossale per le reti criminali italiane e transnazionali che trafficano e sfruttano gli immigrati, soprattutto donne e bambini, nella maniera più spietata, ed infiltrano la politica e l’amministrazione nel campo dell’accoglienza, come è tristemente noto. Come spiega Maria Grazia Giammarinaro, Relatrice Onu sul traffico di esseri umani nell’intervista concessaci qualche settimana fa, la verità è che la cosiddetta crisi migratoria non è una crisi, ma una componente stabile del panorama globale, poiché i conflitti nel mondo non cessano di causare morte e desolazione”.

Merkel e Hollande hanno quindi perso un’ennesima occasione di riconoscere questa semplice verità; ma qualche progresso c’è stato. Essi hanno ricordato la necessità della cooperazione tra paesi europei ed in particolare l’urgenza dell’assistenza alla Turchia, che da sola accoglie (nel 2015) il 42% dei rifugiati siriani (oltre 1.700.000 persone). Hanno anche ammesso che i regolamenti di Dublino, che obbligano i rifugiati a registrarsi nel primo Paese d’arrivo (cosa che essi rifiutano di fare nei paesi dell’Europa del sud e balcanica, dove trovano economie in difficoltà, per tentare di spostarsi per l’appunto verso Germania e Francia, Inghilterra e paesi nordici) sono inefficaci ed obsoleti. E inebriati da tanto coraggio, hanno infine dato una lirica rispolverata alle parole “giustizia e solidarietà”, che sembravano essere quasi scomparse dalle lingue europee, forse migrate verso altri e più accoglienti vocabolari extracomunitari.

E mentre l’Europa comincia a cambiare discorso, anche in Italia impazza, carico di emozioni ed angosce, il contrastato dibattito su quanto vada da noi fatto per salvare capra e cavoli, se possibile, o allora per salvare la capra e buttare fuori i cavoli. Secondo alcuni, l’arrivo di massa di rifugiati e migranti in Europa è insostenibile perché equivarrebbe alla situazione di una barca prevista per 50 passeggeri che tenti di trasportarne 5.000… con le conseguenze che ci ricordano ogni giorno, tragicamente, i naufragi degli scafi sovraffollati degli spietati trafficanti di esseri umani del Mar Mediterraneo. Ma è davvero questa la realtà dell’Italia e dell’Europa?

Per capirlo, siccome si tratta non di una questione secondaria, ma di salvare noi stessi ed altri esseri umani dalla catastrofe, per prima cosa dobbiamo capire che tipo di esseri umani siamo noi europei, noi italiani, e che cosa valiamo; se siamo pronti oppure no, e se abbiamo o no la capacità, e la voglia, di accogliere sulla “barchetta Europa” e sulla “zattera Italia” le migliaia di uomini, donne, giovani e bambini che giungono da noi, in stato di pericolo ed afflizione, di sfruttamento e di necessità. Oppure se, disumanizzati dall’odio e in preda al panico, dimentichi della civiltà, sommersi dall’incapacità e passivi nella disonestà, anestetizzati alla sorte degli altri, siamo pronti a lasciarli affogare in mezzo al mare, a rispedirli verso conflitti, persecuzione e miseria, ad abbandonarli all’attuale mancanza di regole efficaci e rispettate, condannandoli alla schiavitù a casa nostra, allo sfruttamento, allo stigma sociale e culturale, ed alle lotte con i nostri poveri nelle più miserabili delle nostre periferie?

O allora vogliamo piuttosto cercare, insieme a coloro che già abitano tra noi e con noi, in cooperazione con un’Europa più giusta ed efficace, di organizzare la civile convivenza in solidale intelligenza, promuovere il mutuo vantaggio, educare ed informare con verità, ed impiegare razionalmente (e legalmente) le risorse umane nazionali e straniere là dove se ne senta il bisogno (un esempio su tutti, il nostro patrimonio, i nostri villaggi abbandonati, come a Riace? Siamo noi un popolo civile, capace di formulare ed adottare politiche partecipative e programmi trasparenti d’inserzione sociale, coscienti delle sfide dell’interculturalità, o siamo diventati barbari fuori dal genere umano?

Anche se le difficoltà e gli intrecci d’interesse avversi restano certo numerosi nel paese, l’opportunità esiste, soprattutto quando si conoscano meglio le realtà dei flussi migratori, che dimostrano che la “zattera Italia” non rischia affatto oggi più che in passato l’esplosione demografica. Secondo il recente rapporto della Fondazione Migrantes, gli emigranti italiani sono infatti più numerosi degli stranieri immigrati. Non si pone pertanto in Italia un problema di eccessiva pressione demografica sulle risorse nazionali, ma piuttosto, con ancora maggiore urgenza, quello già pressante della ridistribuzione di tali risorse a vantaggio non solo degli stranieri ma, soprattutto dei cittadini italiani (a loro volta colpiti a milioni dalle nuove forme di povertà). Si pone inoltre la necessità di interventi culturali, sociali, politici e legali adeguati per gestire la complessa situazione. Interventi che vanno approntati ragionando a mente fredda e magari con un po’ di cuore, non certo dando ascolto soltanto alla pancia.

Le conclusioni del rapporto della Fondazione Migrantes dovrebbero anche ammonire seriamente gli italiani quanto ai pericoli che ci attireranno, in questa era di globalizzazione, gli irresponsabili politici e media che agitano spettri xenofobi o irridono i diritti umani e le protezioni del diritto internazionale e della Costituzione: che nessuno dimentichi che se non rispettiamo gli stranieri, i razzisti e gli xenofobi di altri paesi rischiano di fare altrettanto con i 4.636.647 cittadini italiani iscritti all’Anagrafe dei residenti all’estero (al 1° gennaio del 2015), il 49,3% in più rispetto al 2006, altri 154.000 italiani emigrati nel solo 2014.

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