Il viso scarnito e malinconico, la voce afona e velata dovuta agli abiti umidi indossati nei primi camerini teatrali scavati nella roccia, la sottile ironia e la franca umanità di Eduardo De Filippo salutavano per sempre il pubblico 30 anni fa. Il 31 ottobre 1984, il più grande attore del teatro italiano del ‘900, autore di intramontabili testi come Napoli Milionaria, Questi fantasmi!, Natale in casa Cupiello, moriva a Roma ad 84 anni. Un drappo di seta viola e una croce dorata come ultimo fondale di scena, un peluche in mano e una folla di amici nella camera ardente della sala gialla del Senato per un De Filippo diventato, dopo aver scritto, diretto e interpretato ben 55 commedie, senatore a vita nel 1981. Una carica fortemente voluta dal presidente della repubblica Sandro Pertini, che salutò l’amico Eduardo per l’ultima volta assieme, tra le migliaia d’altri, a Monica Vitti, Nino Manfredi, Mario Monicelli, Cesare Zavattini, e a quel Dario Fo che poi, durante i funerali in San Giovanni, parlando davanti a centinaia di migliaia di persone, definì Eduardo “un autore civile, attore del proprio tempo”.

Lì a pochi passi, al teatro Valle di Roma, la carriera di Eduardo era iniziata nel 1904, quando a soli 4 anni apparve in braccio ad un attore, nella commedia La Geisha. Sarà poi a 12 anni l’esordio ufficiale in “Babilonia” nella rivista di Rocco Galdieri, e in pianta stabile dal 1914 nella compagnia del fratellastro Vincenzo Scarpetta (Eduardo, assieme a Titina e Peppino, era figlio naturale ma mai riconosciuto del celebre re dei comici Eduardo Scarpetta, ndr). Nel 1920 scrive la prima commedia, Farmacia di turno, ma è nel 1928 che con Filosoficamente debutta, insieme ai due fratelli, con la formazione di una compagnia indipendente con cui inizierà ad essere autore, attore e direttore artistico dei propri lavori. “Sono tre le ragioni della grandezza di Eduardo De Filippo”, spiega Marco De Marinis, docente di storia del teatro al Dams di Bologna, “è erede e reinventore della lunga tradizione dell’attore/autore iniziata con i grandi comici dell’arte nel Seicento. Poi c’è l’incontro e il lavoro con Pirandello nei primi anni trenta dove cambia la sua prospettiva: dalla farsa napoletana, dall’orizzonte del teatro dialettale, va verso un progetto di teatro nazionale che si conquista con le commedie degli anni quaranta e cinquanta – Napoli Milionaria, Filomena Marturano, ecc.. Infine dopo essere fuoriuscito dalla tradizione il teatro di Eduardo ha la capacità nei primi anni settanta di diventare transnazionale grazie alla messa in scena di diverse sue commedie a Londra e New York dirette da Laurence Olivier e interpretate da Joan Plowright”. File ai botteghini, posti esauriti per mesi, anche questo era il teatro di Eduardo: “Nella sua drammaturgia temi e ambienti erano tipicamente italiani, anzi napoletani, ma proprio la riuscita all’estero delinea la dimensione universale dei suoi testi”, continua De Marinis, “si parla dell’uomo, della famiglia, della società contemporanea, in maniera estremamente toccante, poetica, che va al di là del colore locale. Si è abituati a pensare che Eduardo sia un autore comico, ma non è così, è l’attore Eduardo a essere comico. Se leggiamo le sue commedie ridiamo poco, sono drammi, ma a teatro si rideva perché l’attore coloriva, calcava, aggiungeva elementi attoriali per virare sul comico”.

“Era il Moliere del nostro secolo, il terzo grande drammaturgo italiano con Goldoni e Pirandello”, racconta al fattoquotidiano.it Carlo Giuffré, attore di Eduardo e dagli anni ottanta interprete di molte sue commedie a teatro, “Nel ’47 frequentavo l’Accademia d’arte drammatica a Roma. Una sera andai all’Eliseo a vederlo in Napoli Milionaria. Scoprii il genio in scena: poteva stare dieci minuti in silenzio e la gente lo seguiva a bocca aperta. Mi scritturò nel ’49 per La paura numero uno. Mi ha insegnato cose meravigliose, era drastico e immediato, come quando mi disse “Togliete quelle palette di mezzo”. Muovevo male le mani e le braccia, lo imparai subito”.

Una vita oltremodo tumultuosa quella di Eduardo, attore sempre in scena, mente e anima in funzione per raccontare ogni volta uno squarcio dell’universo mondo della sua Napoli: tre mogli – l’ultimo matrimonio è nel 1977; la lite interminabile col fratello Peppino – fu dal palco del Duse di Bologna che alla sua morte disse “adesso mi manca come compagno, come amico, ma non come fratello”; l’impegno politico durante la guerra nel 1943 quando le 600mila lire d’incasso di alcune recite clandestine finirono per aiutare gli ebrei romani nascosti, o quando nel ’44 i De Filippo ricevettero un mandato di arresto per aver recitato Il berretto a sonagli e fuggirono da Roma. E poi ancora Eduardo diventa attore, sceneggiatore e regista cinematografico – altissima la vetta toccata con il soggetto di Matrimonio all’Italiana di Vittorio De Sica, tratto da Filomena Marturano – con l’unico scopo di guadagnare denaro per ristrutturare quel teatro San Ferdinando, riaperto nel ’54 tra ali di folla, proprio in queste ore spazio in cui Toni e Beppe Servillo reciteranno Le voci di dentro fino al 9 novembre: “Eduardo è il più straordinario e forse l’ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare”, ha spiegato l’interprete de La Grande Bellezza che è riuscito a vedere De Filippo in scena all’età di 18 anni, “Dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare”.

Ed è proprio su Rai1, in quella tv in cui Eduardo propose le versioni dei suoi spettacoli teatrali, dirigendoli con mano sicura e altrettanto successo di pubblico, che Le voci di dentro verrà riproposto nella replica del 2 novembre delle 16.45 con la regia d’eccezione di Paolo Sorrentino. De Filippo, infine, non si è mai sottratto al confronto pubblico su temi sociali, nonostante l’età avanzata e i disturbi di salute che fin dal 1974, addirittura in scena, lo videro star male e poi recitare con un pacemaker. La commovente dolcezza nel ricordare Pasolini, con cui avrebbe dovuto girare Teo-Porno-Kolossal, definito “una creatura angelica” fece il giro del mondo; e ancora l’interessamento da senatore del dramma delle carceri minorili (al Nisida di Napoli il 31 ottobre 2014 i ragazzi del carcere reciteranno una commedia di Eduardo, ndr), l’insegnamento del teatro come materia autonoma nelle università (si narra di una telefonata decisiva al ministro Falcucci), o l’invocazione del disarmo unilaterale dell’Italia (“Tanto siamo così piccoli che ci invaderebbero lo stesso”) lasciarono comunque il segno nella politica italiana. Tanto che tra convegni e rappresentazioni teatrali sarà proprio il Senato della Repubblica a ricordare De Filippo il 31 ottobre con la “Cantata delle parole chiare. Voci dal teatro di Eduardo” attraverso le voci di Giorgio Albertazzi, Anna Bonaiuto, Silvio Orlando, Massimo Ranieri, Lina Sastri, e con il figlio Luca a leggere alcuni passaggi dell’intervento in aula svolto da Eduardo il 23 marzo 1982 sulla condizione dei giovani detenuti proprio del Nisida.

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