Lo scorso martedì, l’Ue ha riconfermato un accordo commerciale tra il Regno del Marocco e l’Europa, sul tema della pesca, che riconosce ai pescherecci del Vecchio Continente, la possibilità di sfruttare le acque atlantiche del paese Nord africano dietro il pagamento di una sorta di “licenza” di 30 milioni di euro annui. Tutto a posto. Quindi? Qundi, sarebbe tutto a posto, se una buona parte delle acque territoriali atlantiche, che il Marocco considera casa propria, non appartenessero ad altri. “Gli altri” in questione, sarebbero la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (Sadr), proclamata nel 1976 e riconosciuta da una cinquantina di paesi e dall’Unione Africana ed il suo governo in esilio, rappresentato dal movimento Polisario. L’entità giuridica è inoltre riconosciuta dalle Nazioni Unite e figura nell’apposito elenco Onu con il triste primato di “ultimo territorio non autonomo del continente africano”.

Dall’altra parte, l’occupazione militare marocchina dell’ex Sahara spagnolo è stata ripetutamente e sistematicamente condannata presso ogni sede internazionale ma il Marocco vanta relazioni molto strette con l’Ue, forse le più strette tra i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e “amici influenti” nel Vecchio Continente, tra i quali spiccano la Francia e la Spagna. Certo, le ruggini con Madrid, dovute al miraggio della corona marocchina di poter un giorno issare il proprio vessillo sulle exclavi iberiche in terra africana di Ceuta e Melilla, non sono acqua passata. Ma proprio in acqua, si gioca la partita neo-coloniale di questo lembo d’Africa, dove tra il 1975 e il ’76, la dittatura del Caudillo, giunta ormai alle ultime battute, gettò in pasto all’avidità dei governi di Mauritana e Marocco il Sahara occidentale, premurandosi però di mantenere con i due stati africani un accordo che garantisse gli interessi dei pescatori canari.

Quasi 40 anni dopo, la situazione di instabilità della regione è rimasta praticamente immutata, nonostante la Commissione Europea abbia sottolineato che l’accordo approvato martedì scorso, rispetta gli interessi del popolo Sahrawi. Avete letto bene: si chiede ad una forza occupante che da 38 anni rifiuta un referendum sull’autodeterminazione (e per colpa della quale, tocca tenere dal ’91 una forza multinazionale di pace, la missione Minurso, dispiegata per favorire la celebrazione di un referendum che, probabilmente, non si terrà mai) e impedisce il libero accesso alle sue (auto proclamate) “Province del Sud” di garantire il benessere di una popolazione, alla quale viene negato anche solo il diritto di manifestare. Una popolazione che da quasi quattro decenni, si autodetermina, scegliendo tra opzioni: il giogo delle autorità marocchine, i campi profughi nel deserto  – situati tra l’unica striscia di terra controllata dal movimento Polisario e l’Algeria – oppure la fuga.

Ma a Bruxelles, evidentemente, la vedono in maniera diversa se addirittura il comunicato stampa del gruppo Socialisti e Democratici, ha salutato l’accordo come “It’s a fair agreement for both sides and respects the Sahrawi people’s rights” dimenticando che appena qualche mese fa, quattro eurodeputati, nel tentativo di raggiungere il Sahara Occidentale, erano stati fermati ed espulsi dalle autorità marocchine. La loro colpa? Essere a sostengno della causa Sahrawi.

Qui, sia chiaro, non è in discussione il diritto di stringere accordi commerciali con il Marocco ma i (ben più che) leciti sospetti che in questa vicenda, i diritti siano stati sacrificati sull’altare dell’economia globale (e degli interessi nazionali.). Agli scettici, suggerisco di leggere l’articolo 2, lettera “a” dell’accordo: ‘Moroccan fishing zone’ means the waters falling within the sovereignty or jurisdiction of the Kingdom of MoroccoChe manchi la frasetta “ad esclusione delle acque dei Territori contesi del Sahara Occidentale” non è questione da poco: senza questa mezza riga, l’accordo è diventato un pantano di (potenziali) violazioni del diritto internazionale e rischia di essere causa di un’escalation di tensioni che la martoriata Unione potrebbe risparmiarsi, risparmiarci e risparmiare al popolo Sahrawi.

Il legislatore europeo, in questo caso (o per l’ennesima volta), non potrà dire: “l’accordo è stato fatto in buona fede”.

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