Michelle Bachelet è tornata alla presidenza del Cile, vincendo il ballottaggio più originale del mondo, quello tra due candidate donne, ma anche uno dei più scontati, contro la debole candidata della destra Evelin Matthei. E’ finita 62,2% contro 37,8%. In un quadro di astensionismo senza precedenti in Cile (cifra ufficiale di partecipazione 42%, anche se c’è chi dice che la valutazione del corpo elettorale era un po’ sovradimensionata, quindi potrebbe essere un 47/48), la destra – al minimo storico senza nessun candidato minore che l’appoggiasse al ballottaggio – è comunque cresciuta di 450mila voti rispetto al primo turno. La Bachelet è cresciuta solo di 400mila, segno che la sinistra-sinistra, non vedendo alcun pericolo di vittoria della destra, ha preferito dare un segnale di diffidenza. Del resto la” presidenta” socialista, nel quadriennio 2006-2020 del suo governo, era piaciuta come persona ai cileni, ma non era riuscita a realizzare riforme memorabili. Poi non aveva potuto ricandidarsi nel 2010 perché la legge cilena non consente la rielezione consecutiva.

Gli osservatori cileni sono rimasti un po’ stupiti che il passaggio dal voto “obbligatorio” dei registrati al voto volontaro di tutti gli aventi diritto abbia portato a un calo della partecipazione. Si tratta di una riforma recente – condivisa da tutti – che supera il vecchio sistema nel quale potevano votare solo i registrati (come negli Stati Uniti), ma chi era registrato rischiava ( in teoria) una multa se poi non andava al seggio senza giustificazioni. Più di un terzo dei maggiorenni non si registrava, soprattutto i giovani. Il nuovo sistema “libero” non ha molto intaccato l’astensionismo di chi non si registrava e in compenso ha tenuto a casa un po’ di gente che probabilmente andava a votare più per timore che per convinzione.

La destra comunque – al di là dei meccanismi di voto – ha pagato il fatto di non avere più un candidato autorevole come Sebastian Piñera e di non aver saputo trasferire in termini di welfare questi ultimi anni positivi per l’economia. L’educazione pubblica gratuita e di qualità è diventata l’aspirazione più visibile, sull’onda di un movimento studentesco fortissimo. Ed è stata un punto chiave del primo discorso della vincitrice: “L’educazione non si deve più basare sul lucro”.

Il dato più importante della nuova fase politica cilena è comunque quello dei rapporti di forza in Parlamento. Per la prima volta dopo il ritorno della democrazia in Cile nel 90 la destra non ha più i numeri per bloccare una serie di riforme che nella Costituzione ultra consociativa vigente richiedono un quorum qualificato. E’ il caso delle leggi per il primato dell’istruzione pubblica, per l’aborto terapeutico, per il matrimonio “egualitario”. Forse anche per il voto dei cileni all’estero ( che darebbero un altro colpo alla vecchia destra). La stessa Costituzione non è mai stata così in discussione. Oltre il 10% degli elettori ha scritto sigla AC sulla scheda elettorale, prassi inusuale di protesta per reclamare un’assemblea costituente. Come minimo nascerà una commissione bicamerale per la riforma della Costituzione che promette di lavorare con la società civile.

Articolo Precedente

Catalogna: gli indipendentisti fanno sul serio

next
Articolo Successivo

Marocco-Ue, accordi internazionali sulle spalle del popolo Sahrawi

next