C’è solo un ruolo il cui rendimento può essere racchiuso all’interno dello steccato di un numero. Ed è quello dell’attaccante. Perché al di là delle giocate, degli spazi aperti per i compagni, dei movimenti per far salire la squadra, dei palloni difesi, delle occasioni create, il giudizio sui giocatori offensivi passa inevitabilmente per il numero di centri realizzati. Una legge ferrea che ha dato vita anche al filone narrativo dell’attaccante che vive per la rete, che ha un rapporto quasi orgasmico con il gol. Per questo vedere una punta che si inceppa è come assistere a uno spettacolo triste, a una castrazione pubblica. Questa Serie A verrà archiviata come il regno di Lautaro Martinez (24 reti, otto in più di Dusan Vlahovic e nove in più di Osimhen, rispettivamente secondo e terzo nella classifica cannonieri). Ma in verità è stato anche il campionato degli attaccanti che segnano meno dei difensori. Nel vero senso della parola.

Il caso più eclatante è quello di Moise Kean, un passato remoto da predestinato che si è trasformato prima in un passato prossimo da pacco di mercato da spedire a Madrid e in un futuro che assomiglia molto a un punto interrogativo. “Con Moise ci ho parlato gli ho solo detto che ora deve pensare a lavorare e rimettersi in piedi – ha spiegato Allegri dopo il naufragio della trattativa che avrebbe dovuto portare l’attaccante all’Atletico di Simeone – Sicuramente sarà utile per l’ultima parte della stagione”. Le cose, però, sono andate in maniera molto diversa. In questo campionato l’ex Verona non ha segnato neanche un gol. E non ha servito nemmeno un assist ai compagni. Nei 605’ messi insieme in Serie A, Kean ha fatto registrare una media di 0.8 tiri a partita, meno ancora di Gatti, professione difensore centrale, quarto bianconero per conclusioni verso lo specchio avversario con una media di 1.1 conclusioni a match.

Ma non è andata poi meglio a Cambiaghi dell’Empoli, una rete all’attivo (lo scorso anno ne aveva realizzate 6) con una media di 2 tiri a partita (Zirkzee, che di gol ne ha messi a referto 11, tira in porta in media 2.5 a match, praticamente mezza conclusione in più a match). In pratica Cambiaghi tira molto e segna poco, mostrando una certa continuità fatta registrare lo scorso anno. Se si prendono in esame gli expected gol, Cambiaghi ha segnato 3.2 reti in meno del previsto posizionandosi al settimo posto in questa classifica al contrario.

La foto di gruppo dei bomber a singhiozzo è però piuttosto affollata. E tiene insieme giocatori anche molto diversi fra loro. Ci sono attaccanti logori come Defrel (Sassuolo), giovani come Ikwuemesi (Salernitana), punte dal futuro certo come Yildiz (Juventus), bomber di scorta come Giovanni Simeone (una rete in 655’ in questa stagione contro i 4 centri in 385’ dell’anno dello scudetto) o in parabola discendente come Petagna (Cagliari), Cerri (Empoli) e Simy (Salernitana). Ma anche calciatori alla ricerca di se stessi come Tammy Abraham, rientrato dall’infortunio al ginocchio e protagonista di un finale di stagione complesso, dove nonostante la rete siglata contro il Napoli sta rischiando di passare alla storia come l’uomo che non ha segnato ‘quel’ gol (sul finire della gara di andata contro il Bayer e poi contro la Juventus). Tutti giocatori con prospettive completamente diverse, ma accomunati dallo stesso dato: aver segnato appena una rete in campionato. Appena un gradino più in alto ci sono Lapadula, Sanchez, Nzola, tutti attaccanti che in questa stagione hanno avuto la stessa media gol di Rugani (2 centri in 35 giornate). E poi ancora Arnautovic, Milik, Azmoun, Shomurodov, Henry, Cancellieri, Caputo con il bottino magro di tre reti in Serie A.

Il dato più interessante, però, riguarda le cosiddette piccole. Perché i tempi in cui Hubner diventava capocannoniere del torneo grazie alle 24 reti segnate con il Piacenza sembrano lontanissimi. In provincia si segna poco, ma soprattutto i gol non sono più così concentrati in un unico attaccante. Quasi tutti i capocannonieri delle ultime 7 della classifica non si avvicinano neanche alla doppia cifra. Folorunsho ha segnato 4 reti per il Verona, Niang altrettante per l’Empoli, Viola è volato a quota 5 con il Cagliari (che fra tutti i giocatori offensivi ha messo insieme appena 15 reti: 4 a testa per Pavoletti e Luvumbo, 3 per Shomurodov, 2 per Oristanio e Lapadula). Lucca ha realizzato 7 gol con l’Udinese mentre a Salerno, con Dia che è fermo a quota 4, è toccato a Candreva vestire i panni del capocannoniere (6 realizzazioni). Le uniche eccezioni alla regola sono il Frosinone, dove Soulé ha fatto registrare 11 centri, e il Sassuolo, dove Pinamonti è a quota 11.

La domanda, dunque, è scontata: i bomber di provincia stanno scomparendo? In un pezzo di poco più di un anno fa uscito su Rivista 11, Francesco Gilardi spiegava così la proliferazione dei grandi attaccanti di periferia negli anni Novanta: “All’epoca, tutti volevano giocare in Italia, ma la selezione per entrare nella rosa di una delle Sette Sorelle era così dura che anche giocatori di grande talento rimanevano fuori. Ma comunque tutti volevano giocare in Serie A e, a quel punto, meglio la provincia che niente”. Sostanzialmente, dunque, la minore capacità di spesa dei club ha ridotto i talenti presenti e ridistribuiti in tutte le squadre del campionato. Ma c’è anche un altro dato che bisogna prendere in considerazione. Ora, infatti, si segna meno di ventiquattro anni fa. Se si prende in esame il campionato 2000/2001, il primo giocato interamente nel nuovo millennio, si nota che allora erano stati messi a referto 845 gol. Adesso a tre giornate dalla fine, le reti realizzate sono state 848. Solo che nel frattempo la Serie A è passata da 18 a 20 club. Significa più squadre (con almeno una formazione materasso), più partite, più possibilità di segnare. In pratica si è passati dai 24.8 gol in media a partita del 2001 ai 24.2 di oggi. Ma con una partita in più a giornata. Il dato fa ancora più effetto se prende in esame il singolo match, dove la media reti per ogni partita di campionato è crollata da 2.7 a 2.4. Al momento in Serie A c’è solo un giocatore ad aver segnato più di 20 reti (Lautaro), mentre 18 sono in doppia cifra. Soltanto due volte negli ultimi 25 anni si è segnato di meno: nel 2002/2003 (Vieri fu l’unico a superare quota 20 mentre furono solo 15 i giocatori in doppia cifra) e nel 2015/2016 (Higuain al Napoli mise a segnò addirittura 36 reti, ma solo in 17 finirono con più di 10 centri). Questa stagione potrebbe dunque rappresentare un caso isolato. Ma forse sarebbe meglio trovare dei correttivi prima che possa diventare tendenza.

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