“Nell’ottobre 2012 Silvio Berlusconi mi propose di guidare il centrodestra alle elezioni. Risposi che apprezzavo la proposta, e probabilmente avremmo vinto. Ma che, fino a quando fosse stato in vita, nessuno avrebbe potuto guidare il centrodestra al di fuori di lui. E poi avevamo idee troppo diverse“. In un’intervista al Corriere per lanciare il suo ultimo libro “Demagonia”, Mario Monti svela i retroscena del suo rapporto con il defunto fondatore di Forza Italia, di cui prese il posto a palazzo Chigi dopo la crisi dello spread del 2011. Una sostituzione che dagli ambienti vicini all’uomo di Arcore fu poi descritta come un golpe bianco imposto dai mercati finanziari. Ma lo stesso Berlusconi, sostiene Monti, “non credeva alla teoria che poi ha fatto diffondere. Anzi, nel febbraio 2012 sul Giornale rivendicò il merito di aver indicato lui il mio nome” a Giorgio Napolitano, allora presidente della Repubblica.

L’ex premier racconta lo scambio avuto con il suo predecessore mentre conduceva le consultazioni per formare il nuovo governo: “Lo cercai e mi invitò a pranzo a palazzo Chigi. Ci davamo ancora del lei, solo dopo siamo passati al tu. Mi disse: “Le do un solo consiglio: non prenda l’attuale ministro dell’Economia””, cioè Giulio Tremonti. “Risposi che la questione non si poneva, Napolitano preferiva che io assumessi anche la responsabilità del ministero dell’Economia. Però Berlusconi aggiunse: “Per il resto, la mia squadra è la migliore possibile, e gliela metto tutta a disposizione”. Mi pareva di parlare con il presidente di una società di calcio, che impone al commissario tecnico di non cambiare la rosa. Per fortuna a Berlusconi squillò il cellulare, e si allontanò. Rimasero Alfano e Letta, a capo chino per l’imbarazzo, a guardare la tovaglia”.

Monti ammette, comunque, che avrebbe gradito avere alcuni esponenti di peso del centrodestra nella sua squadra: “Gianni Letta sarebbe stato un prezioso ministro (salvo che alla Giustizia, per ovvie ragioni). Proposi gli Interni a Maroni; mi rispose che la Lega sarebbe andata all’opposizione. Avrei visto bene Brunetta continuare alla Pubblica amministrazione; ma non potei neppure chiederglielo. I partiti non volevano loro uomini in un governo destinato all’impopolarità”, spiega. L’economista bocconiano rivela di aver votato per Berlusconi nel 1994 auspicando “un liberismo disciplinato e rigoroso”: ma “non abbiamo avuto né il liberismo, né il rigore”. E riassume: “Ho rifiutato la sua offerta di guidare il centrodestra; il mio governo ha varato la legge (la Severino, ndr) che, nonostante non fosse certo pensata per lui, lo costrinse a lasciare il Senato; gli ho impedito di diventare presidente della Repubblica. E malgrado questo abbiamo sempre avuto buoni rapporti“.

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