Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ai domiciliari dal 7 maggio con l’accusa di corruzione, ha risposto per otto ore alle domande dei pubblici ministeri di Genova titolari dell’indagine, Federico Manotti e Luca Monteverde, in un interrogatorio-fiume tenuto nella caserma del Roan (Reparto operativo aeronavale) della Guardia di finanza. Presente anche il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati, che ha coordinato l’inchiesta. Il governatore è arrivato intorno alle 11 nella struttura, collocata nell’area portuale e scelta per evitare l’assedio dei giornalisti: le domande che gli sono state rivolte dall’accusa, ha informato il suo legale Stefano Savi, sono state ben 180 e riguardano i finanziamenti elettorali ricevuti da tutti gli imprenditori coinvolti, dal terminalista Aldo Spinelli al manager di Esselunga Francesco Moncada, fino al re delle discariche Pietro Colucci. Secondo la Procura, in molti casi questi versamenti rappresentavano tangenti mascherate versate in cambio di provvedimenti favorevoli. Nei giorni successivi all’arresto, Toti si era avvalso della facoltà di non rispondere all’interrogatorio di garanzia di fronte alla gip Paola Faggioni, ma in seguito – attraverso il suo avvocato Stefano Savi – si era dichiarato disponibile a essere sentito dai sostituti procuratori una volta terminata la lettura degli atti depositati a sostegno della richiesta di misura cautelare (otto faldoni per un totale di oltre novemila pagine). La difesa ha annunciato di voler presentare istanza per la revoca dei domiciliari, condizione necessaria per il confronto con la maggioranza che potrebbe portare Toti alla scelta delle dimissioni.

All’interrogatorio, l’imputato ha presentato una memoria difensiva di 17 pagine, scritta in prima persona e pubblicata sul sito dell’emittente locale Telenord prima ancora dell’uscita dalla caserma. “È mia intenzione spiegare le linee politiche e morali che, da quanto ho assunto l’onore di guidare Regione Liguria, hanno sempre informato l’attività perseguita dalla giunta regionale nella unica prospettiva di servire il bene e l’interesse comune dei cittadini liguri e delle loro istituzioni”, è l’esordio. “Vi è da parte mia la ferma volontà di collaborare, con trasparenza ed onestà, alla ricostruzione della verità nel supremo interesse della giustizia, per restituire alla mia figura di uomo e di servitore dello Stato la dignità che ho costantemente cercato di preservare”, scrive Toti. Che rivendica di essersi rapportato al mondo delle imprese “senza alcuna discriminazione“: “Aziende e persone fisiche sostenitrici della mia propria parte politica sono state ascoltate esattamente come soggetti notoriamente con orientamenti politici diversi o politicamente non esposti”, afferma. E per dimostrarlo cita una serie di incontri avuti con imprenditori “incoraggiati e sostenuti” nonostante non fossero finanziatori: tra gli altri l’ex parlamentare Pd Matteo Colaninno, i colossi delle crociere Costa e Msc e quelli delle costruzioni Webuild (ex Salini, vincitori dell’appalto per la nuova diga di Genova), Pizzarotti e Fincantieri. “Il breve elenco, meramente esemplificativo, tende a dimostrare che non vi è stata una “messa a disposizione” della carica differenziata tra datori di elargizioni liberali e non. E neppure alcun trattamento preferenziale su base politica”, si legge.

“Allo stesso modo”, aggiunge il governatore, “non mi sono mai sentito debitore nei confronti di chi aveva contribuito alla mia iniziativa politica: il fatto di essere contributore o comunque politicamente vicino non ha mai rappresentato un titolo per ricevere da parte mia favori o trattamenti preferenziali“. Poi c’è un capitolo, “Trasparenza e indipendenza della mia azione”, dedicato ai contributi elettorali: “Ogni dazione di denaro è avventa nella massima trasparenza“, sottolinea Toti. “Ciò è riconosciuto dagli stessi atti di accusa ove si fa riferimento a bonifici effettuali ai Comitati politici, gestiti nei principi legali, con obiettivi e organismi statutari e bilanci pubblicati a norma di legge. I bilanci e i rendiconti sono stati (e sono ancora) pubblicati sui siti internet delle organizzazioni politiche a mio sostegno. Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica: nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale a me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati. E proprio per fugare ogni minimo possibile sospetto, particolare attenzione è stata posta nel separare ogni aspetto economico della mia vita privata da qualsiasi attività economica legata alla politica, tanto da separare anche i conti correnti personali”, prosegue. Le contestazioni dei magistrati, però, non hanno mai riguardato la regolarità dei finanziamenti, ma solo lo “scambio” tra le erogazioni e le decisioni pubbliche. Eppure Toti insiste sul fatto che tutto si svolgesse alla luce del sole, addirittura con cene di finanziamento (a villa Zerbino a Genova) a cui era dato “libero accesso agli organi di stampa”: “Chi compie un delitto o ritiene che la sua azione possa configurarsi come tale non si prodiga esso stesso per darne visibilità e anche prova documentale”, scrive.

Nella sezione intitolata “Temi portuali” Toti lamenta: “Viene dato risalto al fatto che taluni incontri avvengono sullo yacht di Spinelli, quasi fosse un luogo nascosto e lussuoso di piacere. Basta conoscere le abitudini di vita e lavoro di Spinelli per sapere che la barca è da sempre utilizzata come succursale dell’ufficio, essendo essa più vicina fisicamente ai terminal del gruppo della abitazione di Spinelli”. E si sofferma sulle decisioni che secondo l’accusa sono state prese per favorire il terminalista: il rinnovo trentennale della concessione del Terminal Rinfuse, l’assegnazione dell’area ex Carbonile e il tombamento della calata Concenter. “Nessuno degli atti viene predisposto con la mia fattiva partecipazione né con quella dei miei uffici. Tutte le proposte arrivarono da soggetti terzi e furono elaborate e valutare dagli uffici secondo i termini di legge”, si giustifica il presidente. “Il mio intervento sulle vicende”, prosegue, “non inerì gli atti stessi e la loro qualità, ma fu una semplice opera di mediazione e sollecitazione alla realizzazione di un interesse squisitamente pubblico”. Infine, c’è la replica alle accuse di corruzione elettorale per aver promesso posti di lavoro alla comunità originaria di Riesi (Caltanissetta) residente a Genova in cambio di preferenze: “Vinsi le elezioni con circa 380mila voti. Il sostegno della comunità riesina si sostanzia, nelle indagini, con una certa approssimazione, di quattrocento voti, giusto per proporzione e per capire che l’apporto non è tale da turbare l’equilibrio democratico del voto”. Anche qui, però, la difesa non è coerente con l’accusa: il reato di corruzione elettorale contestato dai pm non richiede che i voti “comprati” siano decisivi per le elezioni.

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