Ma basta! Non ne posso più di questo accanimento terapeutico posto in essere dal deputato di Azione Enrico Costa verso le intercettazioni e i trojan. Costui, con la compiacenza di Forza Italia e Lega, un giorno sì e l’altro pure tenta di distruggere quel che due galantuomini siciliani costruirono: i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’intento è chiarissimo: togliere ai magistrati e alla polizia giudiziaria gli strumenti indispensabili per scoprire la corruzione e i reati contro la Amministrazione pubblica.

Sono anni che la fobia delle intercettazioni scorre nel Dna di alcuni politici. E’ più forte di loro, pretendono di “aggiustarsi le sportine proprie” e di consentire ai traditori di delinquere a piacimento, e non essere scoperti. E mi meraviglio come la presidente Meloni, che ebbe a dire che Paolo Borsellino è il suo riferimento morale e di legalità, non si opponga a tale stravolgimento dei metodi investigativi. Dichiarazione condivisibile, apprezzabile, ma dovrebbero seguire i fatti. Se passassero tutti gli annunciati provvedimenti di modifica delle intercettazioni, si tornerebbe agli anni 60/70/80, quando facevamo le indagini empiricamente e con pochi strumenti tecnologici che pure c’erano, ma non ci venivano assegnati.

Il cambiamento della lotta alla mafia-politica, e personaggi dell’Amministrazione pubblica, subì il radicale cambiamento dall’intuizione di Rocco Chinnici, che fece nascere il Pool antimafia, nel quale confluirono i magistrati Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello.

Presidente Meloni, all’epoca anche con pochi mezzi – ero alla Mobile con Cassarà – riuscimmo ad incidere nel contrasto a Cosa nostra. Se voi politici vi fermaste un attimo e pensaste a quegli uomini, magistrati, poliziotti e carabinieri che col proprio sangue scrissero la pagina d’oro della lotta alla criminalità, vi passerebbe la voglia di diminuire mezzi e metodi investigativi. Loro e in parte noi investigatori, col nostro modesto contributo, vi abbiamo consegnato un Paese senza più la presenza dei corleonesi di Totò Riina. Non voglio qui ripetermi, ma noi della Dia, presidente Meloni, abbiamo scoperto per primi gli autori della strage di Capaci, utilizzando proprio quegli strumenti che ora vorreste eliminare o di cui vorreste limitare l’uso.

Ebbene sì, piazzammo tante microspie, non solo nelle abitazioni ma anche nelle autovetture. Se va in porto il progetto limitativo dell’uso delle intercettazioni e dei trojan, fareste un regalo non solo ai mafiosi ma a tutti quei traditori appartenenti all’Amministrazione pubblica che si fanno corrompere. È questo che volete? Volete calpestare gli sforzi e quei sogni di Falcone e Borsellino di avere un Paese senza traditori e condizionamenti mafiosi? State facendo un grossolano errore, giacché siete convinti che siccome la mafia non spara più non rappresenti più un pericolo. E l’occupazione manu militari dell’intera penisola da parte delle mafie e l’aumento esponenziale dei reati di corruzione non dovrebbe farvi riflettere? Invece, egregio deputato Costa, lei insiste nelle limitazioni e per giunta nel divieto di usare i trojan.

Mercoledì 24 aprile scorso ho fatto “lezione” di legalità a 954 studenti dell’Istituto Tecnico Statale per Geometri “Camillo Morigia” di Ravenna, e nel ricordare con parole di grande affetto e amore Falcone, Borsellino e i miei colleghi della mia stessa Sezione della Mobile palermitana – Zucchetto, Montana, Antiochia, Cassarà e Mondo, ammazzati da Cosa nostra – parecchi studenti e docenti han pianto. Poi apro i giornali e leggo il progetto di voi politici e m’accorgo che il Paese politico è diverso dal Paese reale. Per fortuna sto iniziando a percorrere il viale del tramonto, almeno eviterò di farmi il sangue amaro.

Concludo con la risposta alla domanda di uno studente: “Pippo, se tornasse indietro, farebbe quel che ha fatto?” Sì! Ma senza vedere i corpi senza vita dei miei colleghi, carabinieri, magistrati, inermi cittadini, compresi Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre.

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