Oggi 29 aprile il disegno di legge Calderoli dell’Autonomia differenziata arriva alla Camera per il voto, dopo un percorso a tappe forzate culminato nei giorni scorsi nella farsa della votazione in Commissione Affari Costituzionali: l’esito della votazione di un emendamento delle opposizioni, approvato grazie all’assenza di alcuni parlamentari della maggioranza, non è stato proclamato dal Presidente, che ha rimandato il voto a due giorni dopo, quando i numeri sono stati naturalmente più favorevoli al Governo.

Un fatto di una gravità inaudita e un vulnus per la democrazia, in quanto si è introdotto un precedente i cui usi futuri non sono prevedibili. In gioco c’era la possibilità che la pur piccola modifica facesse tornare al Senato il ddl, con la conseguente dilatazione dei tempi e il probabile slittamento oltre la scadenza elettorale delle Europee, mettendo in difficoltà la Lega di Salvini, che di quel provvedimento ha bisogno come il pane per riprendersi un po’ dell’elettorato slittato in Fratelli d’Italia.

Del resto l’autonomia differenziata è il coronamento di un percorso e di un disegno che parte da lontano.

“Basta insegnanti meridionali per i nostri figli”. La scritta campeggiava sui manifesti di uno dei tanti movimenti autonomisti che sarebbero poi confluiti nella Lega Nord, che avevano tappezzato i muri di Torino. Erano gli anni ’80. Allora non avrei immaginato che tanti anni dopo mi sarei trovata davanti alla realistica possibilità che questo sciagurato e razzista diktat potesse trovare una strada legislativa per arrivare nelle mani degli eredi di quei movimenti. Invece è proprio quello che succederà se sarà definitivamente approvata la cosiddetta “autonomia regionale differenziata”, portando nella esclusiva disponibilità delle Giunte regionali scelte che riguardano non solo la scuola, ma la sanità, l’ambiente, la tutela dei beni culturali, le autostrade, i porti e gli aeroporti, la protezione civile, la produzione e distribuzione dell’energia e molte altre materie.

L’autonomia differenziata nasce nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione Italiana, introdotta da governi di centrosinistra sull’onda del successo della Lega Nord e delle rivendicazioni secessioniste della “Padania”. Così all’articolo 116 scritto dalle Madri e dai Padri costituenti, che si limitava a riconoscere le 5 Regioni a Statuto speciale, è stata aggiunta la possibilità di “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” per le “altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata” per 23 materie (3 oggi di esclusiva potestà dello Stato, 20 concorrenti Stato-Regioni) per le quali potrebbero essere attribuite le competenze legislative e amministrative alle Regioni a Statuto ordinario.

Da allora il progetto ha attraversato varie legislature e maggioranze politiche, sotto l’impulso del Veneto e della Lombardia a trazione leghista, ma anche dell’Emilia Romagna a guida centrosinistra, e un primo salto di qualità l’ha fatto negli ultimi giorni del Governo Gentiloni con la firma di tre pre-intese siglate con le tre Regioni. Il percorso non si è interrotto nelle legislature successive, avendo sempre goduto di un sostegno trasversale, fino all’attuale Governo di centrodestra, dove il Ministro leghista per gli Affari Regionali e le Autonomie Calderoli ha premuto sull’acceleratore riuscendo a ottenere l’approvazione del suo Disegno di legge al Senato il 23 gennaio 2024.

Se l’autonomia diventerà realtà, non renderà solo incolmabile la distanza tra il Nord e il Sud, ma l’Italia sarà definitivamente divisa in tante piccole repubblichette con leggi e regole diverse, guidate da potentati che su una enormità di materie potranno decidere i destini dei territori, dei lavoratori, delle persone, senza alcun ente sovraordinato che stabilisca i principi generali e possa fare da contrappeso e garante del destino comune. E forse si potrà realizzare il sogno di una macroregione del Nord, come quello che dagli anni ’80 si è insinuato come tentazione separatista in tanti cittadini che considerano i territori del Sud e delle zone più povere una zavorra di cui liberarsi.

Tutto questo è accaduto e continua ad accadere all’insaputa della maggioranza degli italiani, per le modalità semiclandestine con cui è stato portato avanti il progetto e le pre-intese stipulate con Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, ma anche per l’assenza per anni dal dibattito pubblico dei partiti e anche della maggior parte dei media.

Per questo l’associazione Carteinregola ha deciso di impegnarsi per diffondere il più possibile la conoscenza di quello che sta per abbattersi sul nostro Paese, chiedendo alle tante voci che si sono levate contro l’autonomia differenziata di raccontare perché è necessario disperatamente e fermamente opporsi, cominciando con lo spiegare, per ciascuna delle materie di cui le Regioni – i loro Presidenti – possono “appropriarsi”, quello che potrebbe succedere.

Il libro, scaricabile gratuitamente dal sito carteinregola.it, è a cura mia e di Pietro Spirito e raccoglie molte interviste registrate nell’ambito della serie “L’Italia non si taglia” nel 2024, tra le quali quelle di Gianfranco Viesti, autore di Verso la secessione dei ricchi? e Contro la secessione dei ricchi e Francesco Pallante, autore di Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, del costituzionalista Gaetano Azzariti, di Marina Boscaino – portavoce nazionale dei Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti – di Massimo Villone – presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale – e di decine di esperti nelle diverse materie e funzioni che possono passare alla esclusiva potestà legislativa e amministrativa delle Regioni.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Salvini insiste: “Il Ponte sullo Stretto genererà 120mila posti di lavoro”. Ma non è così

next
Articolo Successivo

Bandecchi senza freni tra offese e parolacce: “Vi porto in Tribunale, non contate un ca***”. E lascia l’aula

next