“Quando il carcere si dimostra così disumano da non impedire ad un uomo o ad una donna di togliersi la vita, non si può lasciare il lutto alla dimensione personale della vittima, non si può pensare che la perdita sia una questione da relegare alla sfera degli affetti o alle persone sensibili ai temi dei diritti umani. La Costituzione è stata tradita e questo riguarda tutti noi! Questo vorrei che passasse come messaggio, che il carcere ci riguarda, riguarda tutti” scrive la senatrice Ilaria Cucchi nella prefazione del libro di Carlo Barbieri, Al di là delle sbarre, al di qua del muro, Golem Edizioni.

“Il lavoro di Carlo Barbieri – scrive ancora Cucchi – va nella direzione di mettere il carcere all’interno di una nuova narrazione collettiva, che non lo veda più come sistema afflittivo o punitivo ma come luogo di realizzazione del dettato costituzionale”. Il libro di Barbieri è figlio di un altro suo libro, Le mani in pasta, che parla delle cooperative che coltivano i terreni confiscati ai boss mafiosi. In particolare, Barbieri si sofferma sulla Coop Placido Rizzotto Libera Terra di San Giuseppe Jato, nell’Alto Belice Corleonese. Per scriverlo andò sul posto e, tra le altre cose, entrò in contatto con il mondo carcerario. Vita nel carcere, dignità spesso calpestate, recidiva che “cala sensibilmente – scrive – quando le condizioni di vita nel carcere sono dignitose, quando intravedere un futuro nella società dopo il carcere viene reso possibile da percorsi di formazione e risocializzazione che iniziano da dentro oppure quando l’utilizzo di pene alternative evita il carcere.”

E poi c’è il grande tema che fa male, quello dei suicidi. Chi s’ammazza, in genere, non è il malavitoso. È chi, per esempio, vive il trauma della prima volta: ti denudano, ti perquisiscono, sei isolato dal mondo. E a volte getti la spugna…

“Nel momento in cui scrivo queste righe il bilancio dei suicidi in carcere è sconvolgente: 84 persone detenute si sono tolte la vita nel 2022, 69 nel 2023, 13 nel solo mese di gennaio 2024.” Eppure, una maggiore dignità per chi entra in carcere e un buon percorso riabilitativo non sono fantascienza. C’è un esempio di carcere da seguire, imitare, far conoscere: quello di Bollate. L’ora d’aria, in questa struttura, non esiste: perché le cella, dal mattino fino all’ora di cena, sono aperte. E i detenuti vanno avanti e indietro, per andare a lavorare.

Scrive Carlo Barbieri: “La domanda sorge quindi spontanea: perché Bollate è rimasta un’oasi nel deserto? La risposta, ammesso che ci sia, credo non sia semplice; io non la conosco, ma la cercherò”. Avvalendosi del lavoro dell’Associazione Antigone e del suo annuale Rapporto sulla condizione carceraria, Carlo Barbieri descrive lo stato in cui versano le carceri e le numerose mancanze strutturali e organizzative che rendono inattuato l’articolo 27 della Costituzione (umanità della pena, rieducazione e reinserimento sociale del detenuto).

A questa lettura della situazione, affianca una descrizione di alcune iniziative di recupero sociale nei capitoli intitolati i Percorsi di riabilitazione, che raccontano l’impegno di volontari, studenti tutor, musicisti, insegnanti, imprenditori. Sono percorsi lavorativi, musicali, teatrali, letterari, scolastici che offrono la possibilità di costruire un futuro per il “dopo”, per un reinserimento sociale che contribuisca ad abbassare l’altissimo tasso di recidiva che caratterizza la realtà carceraria.

Il libro è ricco di interviste – a Gherardo Colombo, Gian Carlo Caselli e altri – e di testimonianze, come quella di Gabriella Stramaccioni, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, che scrive: “Oggi a Rebibbia Nuovo Complesso. Altro giorno. Altra storia. Stavolta è quella di M. 87 anni, entrato in carcere il 4 marzo. È lucido e cerco di avere sue notizie. È la sua prima detenzione (si figuri che in vita mia quelle poche multe prese le ho sempre pagate). Non ricorda il nome dell’avvocato, né il cellulare del figlio. Si ricorda l’indirizzo di casa e il telefono fisso. Pochi indizi, ma possono bastare per mettermi in azione per cercare di farlo uscire. Il problema è sempre il solito: perché è stato portato in carcere?”.

Una nota personale, infine. Ho apprezzato il libro perché mi ha fatto ricordare quando entrai in contato con questa realtà, nel carcere della mia città, Vercelli. Per due anni, a metà degli anni Novanta, tenni un corso di scrittura come volontario, nelle due sezioni (maschile e femminile). Capii che del carcere, fino ad allora, avevo un’idea lontana dalla realtà. Capii anche che non è facile trattare l’argomento e parlarne, con la gente, fuorviata da tanti luoghi comuni.

Non posso che apprezzare, quindi, questo libro. Che descrive, ma s’interroga, anche. Per cercare di capire il carcere ci vogliono… occhi nuovi. Hai davanti a te un uomo. Potrebbe essere pericoloso, potrebbe fare del male a te e alle persone che ami. Ma potrebbe essere lui una persona che ami…

Carlo Barbieri è nato a Milano nel 1955. Ha lavorato per 43 anni al Consorzio Nazionale Cooperative di Consumo Coop Italia, ricoprendo incarichi in Italia e all’estero. Ora è in pensione e si dedica alla cura del figlio di 7 anni, della famiglia e alla scrittura.

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