Secondo una denuncia di Amnesty International, dal 7 ottobre 2023 le autorità giordane hanno arrestato almeno 1500 persone solidali con la popolazione palestinese di Gaza, un terzo delle quali durante e dopo una serie di proteste, nel marzo 2024, di fronte all’ambasciata israeliana nella capitale Amman.

Video verificati da Amnesty International mostrano le forze di sicurezza stazionate all’esterno dell’ambasciata israeliana reprimere per tre giorni consecutivi (dal 25 al 27 marzo) le proteste usando gas lacrimogeni e manganelli e picchiando persone già a terra mentre venivano trascinate via.

In quei giorni sono state arrestate almeno 165 persone. Molte altre, nei giorni successivi. Decine di loro sono in attesa del processo mentre almeno 21 sono state poste in detenzione amministrativa su ordine del governatore di Amman, sebbene la procura avesse autorizzato il loro ritorno in libertà.

Ibrahim Shdeifat, un attivista della società civile giordana, è stato arrestato il 26 marzo mentre si stava recando alla manifestazione di fronte all’ambasciata israeliana. Suo fratello Siraj Eddine, che aveva appuntamento con lui, si è rivolto agli agenti chiedendo se ne avessero notizie ed è stato arrestato a sua volta. I due fratelli, dopo che avevano rifiutato di fornire il pin dei loro telefoni cellulari e di mettere per iscritto l’impegno a non partecipare a ulteriori proteste, sono stati posti in detenzione amministrativa nella prigione di Marka. La base legale è la Legge sulla prevenzione dei reati del 1954, che autorizza i governatori locali a ordinare arresti, aggirando il sistema giudiziario. Il 1° aprile i due fratelli sono stati separati: Ibrahim Shdeifat è stato trasferito alla prigione di al-Mawaqqar, Siraj Eddine a quella di Rumaymin. Entrambe si trovano a oltre 30 chilometri di distanza da Amman.

Altre decine di persone sono state incriminate ai sensi della Legge sui reati informatici – che, di fatto, criminalizza ogni espressione che possa “offendere” le autorità – solo per aver pubblicato contenuti nei quali esprimevano solidarietà ai palestinesi, criticavano l’accordo di pace con Israele o invocavano scioperi.

Il 25 marzo la direzione per la Sicurezza pubblica ha convocato senza fornire spiegazioni il giornalista Khair Eddine. L’uomo è stato interrogato due volte, senza che il suo avvocato fosse presente, sulle sue attività online e sulla copertura delle manifestazioni pro-Palestina. Il giorno dopo è stato accusato di “diffamazione nei confronti di un pubblico ufficiale”, “incitamento a disordini, sedizione e odio” e “minaccia alla pace sociale”, ai sensi degli articoli 15 e 17 della Legge sui reati informatici. È stato scarcerato su cauzione il 30 marzo, col divieto di lasciare la capitale in attesa del processo.

Ayman Sanduka è stato arrestato il 21 dicembre 2023 a causa di un post pubblicato su Facebook, nel quale si rivolgeva direttamente al re criticando le relazioni tra la Giordania e Israele. Il 12 febbraio è stato accusato di “incitamento a opporsi al sistema politico”, ai sensi dell’articolo 149 del Codice penale. Si trova nel carcere di Attafilah, a 180 chilometri di distanza da Amman. Lo attende un processo di fronte al Tribunale per la sicurezza dello stato, una corte marziale speciale cui mancano indipendenza e imparzialità.

Come se non bastasse, nelle ultime settimane le autorità giordane hanno introdotto nuovi divieti: portare in piazza la bandiera palestinese, esibire cartelli con determinati slogan, proseguire le proteste oltre la mezzanotte. Inoltre, la partecipazione alle manifestazioni è ora vietata ai minori di 18 anni.

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