Si possono fare tante riflessioni sulla Giornata della Terra. Moltissimo è stato già detto, essendo la giornata in cui si parla appunto soprattutto della crisi climatica e dei suoi effetti sul pianeta. Forse varrebbe la pena fare una riflessione non tanto sulla terra in sé, ma su chi la abita e soprattutto chi la abiterà nei prossimi decenni.

L’Europa e i paesi occidentali, ma anche la Cina, stanno attraversando un periodo di contrazione demografica. Moltissimo si parla in Italia dei giovani uomini e donne che decidono di non avere figli. Tra i motivi principali la precarietà e i bassi salari, ovviamente, l’assenza di un welfare degno di questo nome, la sicurezza di avere pensioni da fame, ma anche la mancanza letterale di certezza rispetto all’abitabilità del pianeta nei prossimi anni.

“Non so se mio figlio avrà acqua potabile da bere”, ha detto una ragazza intervistata qualche giorno fa da Repubblica. E’ un ragionamento corretto, lineare, logico, comprensibile, umano. Ovviamente, la crisi demografica è una sciagura dal punto di vista strutturale ed economico per i paesi che ne soffrono, perché salteranno meccanismi automatici e fondamentali come il pagamento delle pensioni, ma anche lo svolgimento di lavori necessari perché la società stessa vada avanti. Si tratta di punto di vista in contrasto: l’uno pone l’accento sulla qualità di vita e la possibilità stessa di una vita, l’altro sulla continuità socioeconomica.

In realtà, se si guardassero i flussi demografici a livello globale, senza i paraocchi ideologici che sconfinano spesso nel quasi razzismo di alcune scelte e dichiarazioni di questo governo verso chi “italiano” non è, la questione demografica si potrebbe con fatica risolvere attraverso una redistribuzione degli abitanti da parte dei paesi, e dei continenti, che sono più popolosi e che, secondo le proiezioni demografiche, lo saranno ancora per alcuni decenni, salvo raggiungere poi anche loro il picco e cominciare a decrescere: parlo ovviamente soprattutto dell’Africa.

Per fare questo, cioè per integrare, ci vogliono ovviamente politici competenti, lungimiranti, aperti, laici, che vedano nelle migrazioni verso il nostro paese un’opportunità (come d’altronde chiedono le stesse imprese). Per far questo servono soldi, soldi appunto per integrare, per formare le persone che arrivano, insegnargli la nostra lingua, come in altri paesi fanno egregiamente. Da noi, invece, spesso finiscono in mezzo a una strada, abbandonati e senza alcun aiuto, alimentando la spirale di razzismo e di malcontento.

Ma tornando al rapporto tra risorse e demografia: è evidente che il nostro pianeta sarà sempre meno abitabile e più ostile. Che le terre capaci di accogliere persone e farle vivere degnamente saranno sempre di meno. La conseguenza saranno appunto le migrazioni climatiche, i nuovi conflitti legati al clima. Questo produrrà una ulteriore contrazione demografica, che andrà aumentando mano mano che le terre inabitabili aumenteranno. La contrazione demografica sarà l’unico modo per salvarsi.

Se dunque le emissioni non scenderanno, se il clima continuerà a peggiorare, quello che saremo costretti a fare a breve termine è integrare le persone che fuggono da paesi e continenti più popolosi. E poi, in seconda battuta, attrezzarci – come è tutto da vedere – per una necessaria diminuzione demografica, l’unica in grado di salvarci da conflitti sanguinosi. A fine secolo io vedo una terra così: abitata da sempre meno persone, con enormi zone abbandonate, e con persone di vari paesi e culture e religioni spinte a convivere da migrazioni di ogni tipo, che non saranno per forza dal sud al nord del mondo, perché gli andamenti climatici sono del tutto incerti (i migranti potremmo essere anche noi).

L’ipotesi alternativa, appunto, è quella di una radicale conversione verso la sostenibilità, una decrescita felice e veloce, una drastica eliminazione delle fonti fossili: scelte che potrebbero forse consentirci un futuro diverso, meno tragico e più inclusivo per tutti. In questo caso forse a fine secolo lo scenario potrebbe essere diverso. Ma, purtroppo, non è assolutamente la direzione verso cui stiamo andando. Questa giornata è, ancora una volta, un’occasione per ripeterlo.

Articolo Precedente

Il paesaggio prevale sui piani regionali. E il Parco dei Colli Euganei vince contro Italcementi che resta vincolata

next
Articolo Successivo

Parlare di Terra vuol dire parlare di suolo: proteggerlo è una responsabilità di tutti

next