di Gaetano Failla

Il 29 luglio 2010 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una Dichiarazione (A64/L.63 con 122 voti) a favore che riconosce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali. Scopo: invitare gli Stati a fornire fondi, tecnologia e altre risorse affinché l’acqua e i servizi siano garantiti a tutti.

Deduco che l’acqua sia un bene come l’aria che respiriamo (essenziale alla vita); nel nostro corpo da adulti rappresenta circa il 60% del peso e nei neonati il 75%. L’aria non è una proprietà privata e non può essere venduta come merce, diventerebbe una mafia dell’aria, chi la può utilizzare vive… se non si può utilizzare si muore! L’acqua nelle zone con carenza idrica, con distribuzione non adeguata, con perdite nelle condutture o con metodi illegali, diventa come tutti sappiamo una merce e forse è anche mafia. Recentemente la Cedu (Corte europea dei diritti umani) ha stabilito che l’incapacità di affrontare adeguatamente i cambiamenti del clima in Svizzera viola i diritti umani: “inazione climatica” la chiamano con la deduzione che le persone anziane per la loro età sono vulnerabili alle ondate di caldo.

Nel 1966 un reportage di Giuseppe Fava descrisse la penuria d’acqua a Licata (AG). Nel 1967 Danilo Dolci denunciò che a Licata si disponeva dell’acqua corrente ogni 20 giorni (forse lì, ha una strada dedicata). L’11 luglio 1969 l’intera Italia scoprì la gravissima crisi che da decenni affliggeva e affligge ancora il Comune di Licata: la situazione era evidente già nei dati Istat diffusi nel 1951. Nel 1974 Licata poteva disporre di 10/12 litri al secondo, quattro anni dopo l’acqua estratta dai pozzi si vendeva a 50 lire al litro con i “carri botte”.

In Sicilia e forse in altre regioni del Sud la doccia era un lusso che ho cominciato ad avere in casa nel 1976 a Palermo; per tanti anni ho aspettato l’arrivo delle autobotti insieme a miei familiari, per far riempire le tinozze che nel trasporto “ondeggiante” sino al primo piano perdevano il 50% del prezioso liquido e ricevevo schiaffoni per averla versata. Da qualche settimana il presidente Schifani ha chiesto lo stato d’emergenza nazionale per la crisi idrica dovuta alla siccità causata dai cambiamenti climatici.

Occorre anche valutare che le perdite per la distribuzione nella rete idrica siciliana per le abitazioni, agricoltura e settore zootecnico è stata valutata al 51,6, preceduta soltanto dalla Sardegna con 52,8%. (Istat). Dal 1o aprile una cabina di regia (non uso “task force”, è un termine militaresco) dovrà individuare e coordinare interventi rapidi. L’interlocuzione è stata avviata con la Protezione Civile. Il ministro Musumeci indica che, per arrivare alla fine dell’anno contrastando la siccità, la Sicilia deve recuperare 180 milioni di metricubi d’acqua (la metà delle risorse idriche annuali). La Protezione Civile fornirà autobotti, forse navi cisterna (come nelle Eolie da anni), si dovranno requisire pozzi privati.

Quaranta anni fa si costruirono dighe che ancora non sono state collaudate e che sicuramente necessitano di manutenzione urgente. Nonostante i fiumi di denaro della Cassa del Mezzogiorno, fino ai fondi strutturali, per alcuni interventi serviranno anni. I desalinizzatori dovranno aumentare le loro capacità, non si sa come, e quelli non funzionanti dovranno essere riparati subito.

In Sicilia i diritti umani per l’acqua sono violati sin dallo sbarco degli alleati nel 1943 quando divenne proprietà di alcune organizzazioni. La Regione ha destinato 1,3 miliardi per il Ponte sullo Stretto è una priorità? Qual e la priorità fra acqua e ponte? Come anziano di strada condannerei la Sicilia e anche l’Italia. E voi?

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