Un’istruttoria ministeriale sul caso dei fratelli Pellini, imprenditori ai quali è stato restituito un patrimonio di 222 milioni di euro, nonostante siano stati condannati in via definitiva per aver causato, ad Acerra, uno dei peggiori inquinamenti della Terra dei Fuochi. “Condivido il suo grido di dolore e quasi di imbarazzo di fronte a episodi di questo tipo. Il ministero ha disposto accertamenti attraverso l’ispettorato generale presso le autorità coinvolte”. Nel corso del question time, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, risponde così al vicepresidente della Camera dei deputati, Sergio Costa, tra i firmatari di un’interrogazione parlamentare sulla vicenda giudiziaria che indigna.

La vicenda giudiziaria – A ricostruirla è stata lo stesso Costa. Raccontando che a marzo 2023 la Corte di Cassazione ha disposto la restituzione di oltre 200 milioni per un vizio di tardività del decreto di confisca di secondo grado. Già a luglio 2023, la Corte d’Appello di Napoli aveva respinto l’istanza presentata dai difensori dei Pellini, che chiedevano di dichiarare l’inefficacia di quel provvedimento arrivato 18 mesi oltre i termini stabiliti dalla legge. Alla fine, però, la Corte di Cassazione ha dato seguito a questa richiesta, riconoscendo il vizio nella procedura. Solo che la sentenza non cancella il passato. Gli stabilimenti dei tre fratelli Cuono, Giovanni e Salvatore Pellini, quest’ultimo maresciallo dei carabinieri sospeso dal servizio dopo il suo arresto, nel 2006, sono serviti per stoccare un milione di tonnellate di rifiuti, anche pericolosi, quelli solidi seppelliti poi nei terreni agricoli e nelle cave e quelli liquidi nei Regi Lagni, un reticolo di canali che si estende tra le province di Napoli e Caserta, frutto di una bonifica risalente al Seicento. Parte di quei rifiuti è stata finanche ceduta come fertilizzante agricolo, ha ricordato Costa. I tre fratelli sono stati condannati in via definitiva a sette anni, per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale a maggio 2017, anche se in carcere sono finito solo qualche mese. “Ministro, per rispetto verso tutti i cittadini e per affermare i valori della Giustizia, chiediamo che si accerti, anche tramite ispezioni, cosa è realmente successo negli uffici giudiziari di Napoli e che si faccia tutto il possibile per recuperare quei soldi alla causa collettiva” ha detto Costa.

L’istruttoria del ministero – “Come voi sapete il ministero – ha spiegato Nordio – non ha nessun potere nei confronti della giurisdizione sovrana. È quasi banale ricordarlo ma è anche utile, perché qualche volta si può essere indotti in errore”. Eppure l’istruttoria è partita. “Non sappiamo ancora quali siamo i motivi della restituzione (chiesta dal procuratore generale della Corte di Cassazione, ndr) perché non abbiamo ancora ricevuto il deposito del provvedimento. Condivido con voi però – ha commentato il ministro – l’apprensione per una vicenda che non solo non lascia indifferenti, ma di estrema gravità sotto diversi profili, economico, dell’immagine ed etico, oltre che giudiziario”. Il ministro conferma che sulla vicenda “è stato investito il nostro ispettorato. Questa istruttoria appurerà se la restituzione di una patrimonio così ingente sia addebitabile a ingiustificati ritardi o ad altre ragioni. Abbiamo intenzione di andare fino in fondo senza se e senza ma”.

La replica del M5S – A replicare è stata la prima firmataria dell’interrogazione, la deputata M5S Carmela Auriemma. “Ministro, la sua risposta non ci basta e forse non dovrebbe bastare neanche a lei, non soltanto in qualità di ministro, ma soprattutto di magistrato” ha detto. “Lo Stato non può perdere così davanti agli eco-delinquenti – ha aggiunto – deve essere forte. Vogliamo che non ci siano ombre nella lotta, senza distinzioni di partito, contro le ecomafie. Lo Stato deve tutelare il lavoro svolto per 15 anni dai magistrati di ben tre procure della Repubblica con quella che allora era un’intuizione, ossia le organizzazioni criminali guardassero al ciclo dei rifiuti con interesse”.

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