A colpire, in quei 6 minuti e 37 secondi di video, sono soprattutto i non detti. Anche per il Primo Maggio Giorgia Meloni sceglie – come ormai usuale – di intervenire senza contraddittorio, via messaggio sui social. Assente alla conferenza stampa convocata dopo il consiglio dei ministri che ha varato il decreto Coesione con le decontribuzioni per chi assume giovani e donne e il criticato “bonus Befana, il giorno dopo la premier rivendica i dati record sugli occupati e i provvedimenti del governo per “difendere il potere d’acquisto dei lavoratori” e “creare nuova occupazione”. Ma, oltre a citare a sproposito una inesistente “redistribuzione della ricchezza, dimentica l’altra faccia della medaglia.

Nel festeggiare il buon andamento del mercato del lavoro e l’aumento dei contratti stabili, Meloni tira per la giacchetta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ringraziandolo per aver “salutato con soddisfazione” i dati. Ma omette che il capo dello Stato, subito dopo, ha chiesto di “non dimenticare il fenomeno dei lavori precari e sottopagati” e “il basso livello retributivo di primo ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”. Quella parte del discorso pare esserle sfuggita. Così, nel celebrare la festa dei lavoratori, sorvola sul fatto che in Italia milioni di dipendenti guadagnano meno del 60% della retribuzione mediana – sono quindi tecnicamente “working poor” – e che oggi in media i salari reali sono più bassi del 13% circa rispetto al pre-Covid. Motivo per cui la povertà assoluta è dilagata proprio tra le famiglie in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente.

La leader di Fratelli d’Italia vanta le “risposte concrete” date a suo dire dal governo agli italiani “e in particolare a quelli che ogni giorno si rimboccano le maniche e con il proprio lavoro contribuiscono alla ricchezza della nostra nazione”. Ma non ricorda che dal 12 dicembre la delega al governo per “intervenire in materia di retribuzione dei lavoratori e contrattazione collettiva” al fine di garantire “l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente sancito dall’articolo 36 della Costituzione” giace in commissione al Senato senza che ne sia iniziato l’esame. Eppure quella delega l’ha fortemente voluta la sua maggioranza, che l’ha partorita lo scorso novembre riscrivendo con un emendamento la proposta di salario minimo legale scritta dalle opposizioni. Il testo approvato dalla Camera prevedeva che il governo approvasse entro sei mesi dei decreti delegati mirati ad “assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi” e “stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel rispetto dei tempi stabiliti dalle parti sociali, nell’interesse dei lavoratori”. La ministra Marina Elvira Calderone, che aveva annunciato azioni su quel fronte, tace.

Ai morti sul lavoro Meloni non dedica nemmeno un pensiero. In compenso si dice soddisfatta per il rinnovo delle vecchie decontribuzioni per chi assume giovani e donne (stavolta finanziate con fondi europei perché il piatto piange) e per gli aiuti all’avvio di attività imprenditoriali. E non manca poi di ricordare la principale misura varata il Primo maggio 2023 insieme allo smantellamento del reddito di cittadinanza: l’aumento del taglio del cuneo fiscale per chi ha redditi fino a 35mila euro. Poi passa in rassegna gli altri provvedimenti di sostegno, dall’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef al taglio delle tasse sui premi di produttività. Ma si scorda che il Documento di economia e finanza del suo governo, compilato solo nella parte tendenziale, non ne prevede la proroga nel 2025 se non come “wishful thinking” appeso alla necessità di trovare le necessarie coperture senza aumentare il deficit, strada preclusa dal nuovo Patto di stabilità approvato dal governo. Quanto all'”azzeramento dei contributi a carico delle dipendenti con almeno due figli”, è sempre stato previsto che durasse solo per un anno.

Infine il Sud. Vero è, come dice la premier, che il decreto Coesione porta al 40% la quota del fondo pluriennale per gli investimenti da destinare alle regioni meridionali per favorirne l’infrastrutturazione. Ma Meloni non fa menzione della revisione del Pnrr, che ha eliminato investimenti per quasi 16 miliardi di cui 7,5 nel Sud. E tantomeno cita il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata arrivato martedì in aula alla Camera, che rischia di cristallizzare i divari territoriali di spesa. “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, ha avvertito ieri Mattarella dalla Calabria. Silenzio dal governo.

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