di Andrea Vivalda

Sono ormai mesi che i principali media orientati all’area di centrosinistra insistono sulla necessità per il campo progressista di coalizzarsi a tutti i costi per contrastare le destre: “altrimenti Meloni governerà per vent’anni” è la frase più gettonata fra giornalisti e commentatori che un giorno sì e l’altro pure addebitano a Giuseppe Conte il demerito di boicottare il campo largo per – a loro dire – “smania di personalismo”.

Ciò che in questa litania ormai stereotipata non si comprende è quale sarebbe il vantaggio per le forze di centrosinistra nel formalizzare una coalizione oggi. Se si tratta di strategia per le elezioni prossime venture, il vantaggio non sussiste tecnicamente. Tutte le prossime elezioni amministrative regionali e comunali avverranno infatti a doppio turno, il che vuol dire che presentarsi in coalizione favorirebbe la destra che si troverebbe sicuramente sempre al ballottaggio; presentandosi distintamente invece si ritroverà al ballottaggio sempre almeno una forza di sinistra o, potenzialmente, due forze di sinistra, escludendo di fatto la destra. Nessun vantaggio poi sul fronte delle elezioni europee, siccome avranno un meccanismo puramente proporzionale.

Quanto al piano nazionale, le destre sono al governo e le sinistre all’opposizione: che ci si trovi formalmente coalizzati oppure no, non cambia assolutamente nulla nelle votazioni parlamentari: i seggi sono quelli, i voti sono quelli: molti meno di quelli della maggioranza.

Se un provvedimento della maggioranza è contrario alle sensibilità di Pd e M5S, entrambi non lo voteranno; se è contrario solo a quelle del M5S allora saranno solo i pentastellati a non votarlo. Formalizzare una coalizione significherebbe invece doversi allontanare dai propri principi per votare congiuntamente alle altre forze tradendo il mandato degli elettori. Se, quando si è votato per l’ulteriore invio di armi all’Ucraina, il M5S fosse stato costretto ad approvare per ‘ragion di coalizione’, avrebbe deluso il suo elettorato, col risultato molto probabile di allontanare ulteriori elettori dalle urne.

Allontanamento dalle urne già drammaticamente in atto a causa proprio di quel concetto di ‘campo largo’ così tanto propinato. Quel tipo di ‘campo largo’ costruito incollando col nastro adesivo forze e forzettine che hanno principi, idee e programmi diversi; costruito sul compromesso, sulla poca chiarezza, su punti di programma che si sa già che non si potrà mantenere per ‘ragion di coalizione’.

E’ quel ‘campo largo’ che equivale alla vecchia politica poltroniera, quella che negli anni ha visto fondersi pezzi di una martoriata sinistra con pezzi di centro deludendo il cinquanta per cento degli elettori, che infatti non votano più. E’ quel ‘campo largo’ che, lungi dall’irrobustire la lotta alle destre, ne consentirebbe al contrario il definitivo dilagare, allontanando ulteriori elettori di sinistra non più rappresentati e stufi di tapparsi il naso quando le roboanti e ‘nette’ idee delle campagne elettorali si trasfigurano in compromessi, giravolte e trasformismi per ‘ragion di coalizione’.

Se esiste la possibilità di riavvicinare gli elettori di sinistra al voto è invece proprio quella data dalla coerenza delle idee, dei temi e dei valori fra programma e azioni successive; che non si chiama ‘smania di personalismo’, bensì rispetto del voto degli elettori.

Perché dunque questa spinta mediatica dell’intellighenzia Pd-calendiana ad un progetto che appare suicida? Viene il dubbio che serva a far frastuono per nascondere che la vera debolezza dell’area progressista sta in realtà proprio in un Pd perso nelle correnti, nella carenza di proposizioni nette, nel vecchio stile del ‘campo marmellata’ dal potere poltronìfico, e che il miglior modo di farlo sia l’attacco sistematico al M5S il quale, grazie a chiarezza, costanza e coerenza sui temi (che piacciano o no, non è questo il punto), ‘rischia’ di affermarsi come punto di riferimento vero dell’opposizione.

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