La questione morale è cronica da decenni, quindi non è un’emergenza, ma è strutturale ormai alla classe dirigente politica e istituzionale del nostro Paese. Questione morale vuol dire soprattutto il male di utilizzare le istituzioni non per perseguire bene comune e interesse pubblico, ma affari privati e di parte, lobbistici, non di rado criminali e finanche mafiosi. Non si tratta di mele marce che inquinano campagne sane, ma di un vero e proprio frutteto contaminato. Una devianza che è divenuta normalità. E quando i normali si oppongono a questo vero e proprio sistema divengono sovversivi, ribelli, socialmente pericolosi. Ma in realtà non sono altro che ubbidienti ai principi costituzionali.

E chi resiste cercando di servire le istituzioni con disciplina ed onore, come statuisce l’art. 54 della Costituzione, diviene un irregolare da colpire, da isolare ed eliminare, non più con tritolo, pistole e fucili, ma con i proiettili istituzionali, la carta bollata, la legalità formale, le delegittimazioni mediatiche e politiche. La lotta alla corruzione e alle mafie non sono da tempo una priorità per governi e parlamenti. E le mafie, soprattutto l’’ndrangheta, ma anche Cosa nostra dopo le stragi del ‘92/93, hanno scelto di penetrare nel cuore dell’economia e delle istituzioni, mimetizzarsi in esse. Non più collusioni, ma organicità, tanto che in alcuni casi si può parlare di reductio ad unum tra pezzi di Stato e mafia.

Per rompere un sistema criminale, che si cementifica soprattutto con la gestione del denaro pubblico, bisogna stare fuori dal sistema e non andarci mai a braccetto o in alleanza, altrimenti si perde coerenza e credibilità nella lotta. Poi la questione morale non può essere strabica, deve valere nei confronti di tutti, non solo quando riguarda gli avversari. In politica e nelle istituzioni si deve eliminare il puzzo del compromesso morale ed aprire al fresco profumo di libertà.

Molti purtroppo nelle istituzioni hanno un prezzo, si paga un prezzo a non avere prezzo ma non c’è prezzo a non avere prezzo. La questione morale da decenni attraversa in maniera trasversale la politica locale, regionale e nazionale, non riguarda solo una parte. Le indagini recenti di Bari e di Torino, pur essendo attività investigative e non condanne, delineano nei fatti emersi un quadro consolidato che esiste in politica: compravendita di voti, allargamento di maggioranze politiche senza nessuna attenzione al profilo etico dei nuovi ingressi, corruttela come prassi politica, penetrazione ormai solidissima delle mafie al nord. E così come bisogna essere garantisti, non è condivisibile che soprattutto chi dovrebbe essere punto di riferimento credibile nel fronte dell’antimafia assume difese di ufficio nei confronti di taluni politici solo perché evidentemente più collaterali e si tace quando magari sono colpite persone che non appartengono a nessuno e sono davvero in prima linea nella lotta alla criminalità mafiosa ed istituzionale e che nella politica lottano per applicare la questione morale, non come slogan di propaganda, ma come carta d’identità dell’agire pubblico.

La scarsa coerenza e credibilità di non pochi rappresentanti anche del fronte dell’antimafia sociale sta indebolendo non poco il contrasto anche culturale al crimine organizzato. Ed il silenzio, dovuto alla strategia della tensione non con le armi ma con gli abiti del potere e il confondersi tra pulito e sporco, porta la gente ad occuparsi sempre meno pubblicamente di questo cancro politico ed istituzionale e a non schierarsi. Anche perché il nemico non si vede, è invisibile o si confonde. Ed oggi è la mafia istituzionale la mafia più potente ed il collante forte sono le logge occulte e le massonerie deviate: le massomafie che rappresentano la recente evoluzione del piduismo fondato da Licio Gelli negli anni 70, con l’obiettivo di presa assoluta del potere: assetto verticistico dello Stato, presidenzialismo o premierato, dissoluzione della centralità del Parlamento ridotto ad organo di mera ratifica di decisioni prese altrove, annichilamento dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, controllo dei mezzi di informazione, stato di eccezione che diviene permanente e criminalizzazione del dissenso.

Non c’è da reprimersi però, bisogna conoscere il male per resistere e mettere in atto azioni concrete individuali e collettive di attuazione della Costituzione.

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